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di PIETRO MANCINI
Il deputato napoletano del Pdl, Alfonso Papa, si è autosospeso, ieri, dalla commissione Giustizia della Camera e dall’Antimafia. «Sono sereno», ha detto il magistrato in aspettativa su cui pende la richiesta di autorizzazione all’arresto, nell’ambito dell’inchiesta sulla “P4”. Il voto della Giunta, presieduta da Castagnetti (Pd), dovrebbe arrivare la prossima settimana. E sarà la settimana decisiva, visto che il parere da sottoporre all’assemblea di Montecitorio deve arrivare entro il 15 luglio. L’autodifesa, svolta ieri dal deputato del Pdl, si è trasformata in una vibrante requisitoria, piena di accuse, tutt’altro che lievi, ai suoi ex colleghi partenopei. «Una vera e propria caccia all’uomo» mossa da «un chiaro intento persecutorio» dettato da «odi, rancori e gelosie, presenti nell’ambiente del Distretto di Napoli», dove i sostituti, che hanno chiesto l’arresto di Alfonso Papa, nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta “P4” di Gigi Bisignani, avrebbero condotto indagini «al di fuori di tutti i principi fissati dalla legge e dalle regole deontologiche» e avrebbero «violato palesemente le prerogative parlamentari». Alfonso Papa ha fatto nomi e cognomi di coloro che, a suo parere, avrebbero costruito il procedimento penale, che lo vede indagato, come «un abito da accollare» su di lui «con un’inchiestona , che ha visto miriadi di intercettazioni illecite» e con l’ascolto «infruttuoso di oltre 130 testi fino ad arrivare a soggetti compiacenti». Si tratta di Woodcock e Curcio, che hanno sentito cinque magistrati (Luigi de Magistris, Vincenzo Galgano, Paolo Mancuso, Arcibaldo Miller, Umberto Marconi) legati al distretto di Napoli. Costoro sarebbero, secondo Papa, suoi “nemici” dall’epoca del dissidio, che si aprì, nel 1999, tra alcuni sostituti e l’allora capo della Procura, già numero uno a Palmi, lo stimato magistrato calabrese Agostino Cordova, per cui l’attuale deputato di Berlusconi, allora in servizio, aveva parteggiato. Peraltro, a giudizio di Papa, i fatti contestati sarebbero tutti accaduti a Roma e quindi la Procura di Napoli sarebbe “incompetente”. La vigorosa arringa dell’amico del faccendiere Gigi Bisignani, oltre a convincere i rappresentanti del Pdl e a registrare il dissenso di quelli del Pd e di Idv, ha riportato alla prudenza anche la Lega Nord che, per bocca del suo leader, il senatùr Bossi, nei giorni scorsi, aveva dato come probabile il sì del Carroccio alle manette. Nei primi anni ’90, in pieno “tsunami” tangentizio, il Parlamento fu ribattezzato «degli inquisiti», perché molti eletti erano sotto inchiesta, e venne sciolto dall’allora capo dello Stato, il severo magistrato di Novara, Oscar Luigi Scalfaro, dopo appena 2 anni di legislatura. Le manette erano molto popolari. E con l’opinione pubblica che, aizzata da Borrelli, Di Pietro, dalla stampa e dai Lerner e “Sant’oro”, conduttori giustizialisti, chiedeva un repulisti, gli onorevoli impauriti fecero harakiri: per non dare l’impressione di nascondersi dietro l’immunità parlamentare, la abolirono. Finché c’era, nessuno poteva essere messo sotto processo, o rinchiuso in cella, senza il sì, preventivo, della Camera di appartenenza. La norma non la avevano inserita nella Costituzione Dell’Utri, Previti o Schifani, bensì i fondatori della Repubblica, tra i quali i grandi penalisti calabresi, Fausto Gullo e Pietro Mancini, per evitare che le toghe potessero influire sul funzionamento della politica. Al di là del giudizio, negativo, di larghi settori dell’opinione pubblica, di molti elettori ed eletti, anche di alcuni del suo partito, come il calabrese Santo Versace-che peraltro è uno stilista e non un giurista- su Alfonso Papa, il disco verde della Camera al suo invio a Poggioreale verrebbe considerato una vittoria delle toghe più schierate contro la politica. Le lancette degli orologi verrebbero spostate ai primi, drammatici anni ’90, quando – come sostenne il capo dello Stato,Giorgio Napolitano, nel molto significativo messagio, che inviò alla vedova di Bettino Craxi, donna Anna, nel 2010- si verificò “un brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia”. E, con Papa cacciato, con disonore, dal Parlamento, Berlusconi e Sandro Bondi dribblerebbero le legittime, ma imbarazzanti, domande sulle ragioni della decisione di nominare deputato l’amico dell’influente faccendiere, Gigi Bisignani, un personaggio, già nel 2008, molto discusso, negli ambienti del tribunale di Napoli. Mentre Bersani e Di Pietro, concentrando ogni sforzo sulla cattura dell’ “infame peone” berlusconiano, rinvierebbero sine die l’approfondita discussione, da tempo sollecitata dai “rottamatori”, Renzi e Civati, sulle carenze e sulle difficoltà dell’opposizione. Meglio, per il centrosinistra, non scendere, troppo presto, dalle barricate anti-Silvio piuttosto che tentare di sciogliere gli intricati nodi della leadership e del programma di governo, da presentare agli elettori, nella primavera del 2012. “Last but not least”, se Papa venisse arrestato, gli subentrerebbe, alla Camera, non un pensoso e irreprensibile giurista campano, bensì una bella e bionda “Papi’s girl”, Maria Elena Valanzano. La trentaduenne signorina, che ha spedito dolci sms all’insaziabile Silvio Berlusconi, era stata inserita nella lista del Pdl, in Campania, sulla base del noto, e riprovevole, “metodo Carfagna”. Non diverso, peraltro, dal “metodo Madia”, vigente nel Pd, quando segretario era Walter Veltroni.

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