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di FLAVIO STASI
Quello che succede al confine con la Francia è distante centinaia di chilometri, eppure noi calabresi non possiamo restare impassibili di fronte alle immagini di blindati che sfondano il presidio di gente comune, di tante famiglie, di lavoratori, pensionati, ragazzi. Gente che da un mese vive in tenda perché non vuole soccombere alla legge di Maastricht, alla legge della vita a misura di finanziamento europeo, gente che vuole le infrastrutture e lo sviluppo, non i disastri: questo è il primo punto in comune tra un calabrese qualsiasi e la gente della Val di Susa. Noi del rapporto tra infrastrutture e disastri, scempi, svalorizzazione dei territori siamo, nostro malgrado, esperti. Basta dare un’occhiata, per esempio, al tracciato della linea ferroviaria tirrenica, quello che passa tra un ombrellone ed un villaggio abusivo, per capire di cosa stiamo parlando. Non voglio partire dall’Unità d’Italia, ma il Sud e la Calabria erano ridotti così male che pur di avere metri di linea ferrata avremmo permesso che buttassero giù metà dei nostri centri storici. In realtà hanno fatto di peggio, tranciando con ferrovie e strade alcune delle coste più belle del mediterraneo. Lo scettico di turno è subito pronto col domandone: «Ma voi strade e ferrovie non ne volete?» Lo stesso che pensa che dire no ad una centrale a carbone significa tornare alla candela. La risposta è: «E voi, ferrovie che non distruggono le risorse di un territorio ne sapete fare?». La risposta è sì, ovviamente, anche perché non si è mai trattato di problema tecnico, semmai politico. Semplicemente significherebbe, per aziende e istituzioni di turno, spendere di più, o meglio, “mangiarci” di meno. Ecco che allora le ferrovie passano sugli scogli dell’Alto Tirreno, e laddove risultano troppo fuori luogo, ci si costruisce un bel palazzo abusivo di fianco, al cui cospetto la linea ferrata è un’espressione artistica. La galleria è pericolosa? Pazienza. Per andare al mare bisogna passare, con bambini e canotto, nel sottopasso? Non è la fine del mondo. Sarebbe ora che la povera gente la smettesse di far da ragioniere a cassieri di Stato e non, ribadendo che non ci sono soldi: basta vedere tutti i soldi che sono usciti fuori per il G8 alla Maddalena o per i mondiali di nuoto di Roma (tutto sotto indagine per appalti irregolari) per capire quanto sia falso. E grazie alla nostra decennale esperienza con strade statali, consiglieri regionali, autostrade, ministri, linee ferroviarie, sottosegretari, ponti e “strade grande comunicazione”, che possiamo davvero sentirci vicini a chi, dall’altra parte dello stivale, in fondo chiede soltanto di potenziare la linea che c’è già senza recare altro danno al territorio e senza rischiare di svegliare mostri d’amianto. Ma bisogna dire la verità: almeno una volta gli uffici romani contavano qualcosa. Se arrivava l’asfalto o non arrivava, se arrivava l’oro o il cemento, se ci si doveva mettere d’accordo col sindaco, col comitato, col presidente, lo si decideva al ministero dell’interno, del tesoro, delle infrastrutture. Dopo anni di attesa, di propaganda, di bracci di ferro, di proclami, a far capire chi comanda è stata l’Unione Europea, dicendo semplicemente che se non partono i lavori in breve, salta una parte dei finanziamenti. Come in un film satirico il ministro Maroni, con occhiali da sole e cravatta verde, non appena sentita la notizia dice ai suoi: «Preparate i carri armati». Mezzi blindati, lacrimogeni, duemila uomini da tutta Italia, i quali torneranno nelle proprie città solo dopo aver finito “il lavoro” contro chi è costretto a dormire fuori casa per difenderla. Non mi piacciono le mitopoiesi di chi usa spesso, a sproposito, aggettivi pomposi, ma basta vedere e sentire cosa sta accadendo in Val Di Susa per poter affermare che al nostro Stato è bastata la minaccia di perdita di un finanziamento per scatenare l’inferno contro la propria gente. Allora chiedo alla mia gente: cosa accadrebbe se per una conversione a carbone spuntasse un finanziamento dell’Unione Europea? O su una discarica da raddoppiare o da costruire a poche centinaia di metri da casa, sul Ponte sullo Stretto, su un nuovo inceneritore tra le colline dell’appennino? La risposta che arriva dalla Val Di Susa è quella di sempre. Se ci sono soldi di mezzo non si fermeranno davanti a niente: gli imprenditori, i politici, la ’ndrangheta, lo stato, fino a mandare l’esercito. Il messaggio è che delle nostre vite e dei nostri territori non decidiamo noi, né la nostra opinione è considerata se non per ritorno elettorale, ma a decidere sono gli interessi particolari di amministratori delegati di prima classe e di ministri. Ed è per questo che siamo vicini a quella gente e vorremmo che decidesse per le proprie vite esattamente come vorremmo decidere delle nostre e come abbiamo intenzione di fare. Sono i giorni della Tav, dei suoi finanziamenti e dei suoi manganelli, ma sono anche i giorni dell’anniversario della Strage di Ustica, e delle manovre di lacrime e sangue del Parlamento greco sotto la scure dell’Unione Europea. C’è una cosa in comune in questi fenomeni. A sapere e decidere sono sempre in pochi: banchieri, generali, ministri. A pagare invece, senza alcuna colpa, sono sempre gli stessi e siamo tanti: uomini e donne che non hanno il tempo di imparare che cos’è un crac finanziario perché troppo impegnati nel tirare, quotidianamente, a campare. Siamo vicini, tutti quanti, non per scelta, ma per condizione.

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