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di MATTEO COSENZA
Forse una targa di riconoscimento bisognava darla anche a Lucio Presta, il potentissimo agente dello spettacolo, che da tempo fa di tutto per ripagare con gentilezze straordinarie la terra, la Calabria, che gli ha dato i natali. Lo spettacolo di Roberto Benigni all’Unical, che, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, riceve la laurea honoris causa, non ha prezzo. Un paio d’ore di grande divertimento e suggestione, segnate anche dai contributi memorabili dei professori che hanno preceduto il “diavoletto”, entrano nel curriculum di Presta, nella sezione degli affetti territoriali, essendo lui l’agente anche di Benigni. Il quale, ripetiamo, ha mantenuto fede alle attese con un tributo probabilmente esagerato alla Calabria, regione dove sarebbero state inventate le cose più importanti e patria della cultura italiana ed europea quasi di ogni tempo. Le citazioni sono state molte e documentate, ma l’idea dell’eden non sembra molto corrispondente al luogo in cui viviamo. Ci sarebbe piaciuto, per esempio, che Benigni avesse spronato i calabresi a infrangere, partendo dai comportamenti individuali, gli stereotipi appiccicati loro addosso. Già questo sarebbe stato tanto, per non dire che forse una parolina sulla ‘ndrangheta non sarebbe stata fuori posto in quel luogo. E lo diciamo proprio perché sappiamo quanto valgono le sue orazioni civili, condite di vis comica e lirici appelli, di riso e di pianto, di alto e di basso, come abbiamo visto, per fermarci all’ultima sua straordinaria azione, quando ha fatto sentire uniti come non mai gli italiani in occasione del 150° anniversario dell’unità. Peccato, e comunque grazie lo stesso, Benigni, perché esisti e anche per quello che ci hai regalato ieri. Chiusa questa parentesi, qualche riflessione merita il contesto. Intanto l’immancabile protesta degli studenti rimasti fuori, che peraltro, non essendo tantissimi, avrebbero potuto riempire le poltrone rimaste vuote nell’auditorium senza che ne nascessero problemi. Abbiamo sentito alcuni studenti che si lamentavano dell’organizzazione che li aveva esclusi sostenendo che in questo modo l’Unical si confermava uno spazio chiuso e refrattario ai fermenti e isolato dalla Calabria. Nulla di nuovo sotto il cielo di Arcavacata: quasi ogni anno il tema si ripresenta, figurarsi se non accadeva quest’anno in occasione di uno show, peraltro gratuito, al quale tutti volevano partecipare. Epperò, ieri qualcosa non quadrava. Avevamo ancora davanti agli occhi la sala dell’aula Caldora, che può accogliere non più di un quinto delle persone sedute nell’auditorium, affollata da un centinaio di persone: dieci (contati) professori e forse neanche tanti studenti, il resto erano persone venute da fuori. Era lunedì mattina, ventiquattro ore prima, e non si dava uno spettacolo, c’era un signore che, dopo una trentina di anni trascorsi a Palermo a combattere la mafia fino ad arrestarne il capo Provenzano, in questi quattro anni ha riacceso la speranza che in Calabria la legalità sia una frontiera raggiungibile e che la ‘ndrangheta si possa sconfiggere. Giuseppe Pignatone, procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria ancora per qualche mese, ha svolto una lezione civile che meritava un’ovazione anche più grande di quella riservata al carissimo Benigni (che amiamo, sia chiaro). Ha trattato con la concretezza dell’esperienza materie spinosissime: come si fa correttamente un’inchiesta, come vanno usate le prove e le intercettazioni e i collaboratori di giustizia, i risultati ottenuti, i personaggi esemplari di un sistema complesso (la ‘ndrangheta militare, la zona grigia, le collusioni), le strategie usate, quelle da applicare, l’impegno dello Stato, il ruolo della società civile. Ha ridicolizzato l’inchiesta di qualche anno fa di Cordova sulla massoneria: «Quanti imputati ci sono stati?» Nessuno. Però, subito dopo ha aggiunto: «Non abbiamo prove sulla massoneria, che peraltro ha una storia gloriosa, e i suoi rapporti con la ‘ndrangheta, ma tutti gli uomini della zona grigia che arrestiamo sono massoni». No, non era un film, si parlava di Calabria, ma gli studenti e i professori calabresi stavano altrove, molti di loro pronti alla passerella e allo spettacolo del giorno dopo. Con un’immagine forte Pignatone ci ha dato forse anche la chiave per spiegare i motivi più profondi di una condizione di arretratezza dalla quale non si riesce a venir fuori. Gli è stato chiesto che idea s’era fatta dei calabresi, lui che, pur avendo vissuto da vicino la tragica fine di Falcone e Borsellino, ha visto fiorire poi la primavera siciliana. Ha risposto con queste parole: «Mi pare che i calabresi seguano le cose come se stessero in uno stadio nel quale si svolge una partita tra Stato e ‘ndrangheta. Loro sono sugli spalti e non giocano ma fanno il tifo. Ci sono uomini, imprenditori, intellettuali, politici, giornali che tifano per lo Stato, e ci sono uomini, imprenditori, intellettuali, politici, giornali che tifano per la ‘ndrangheta». Parole amare, durissime, impietose. Volete dargli torto? Forse è meglio rinfrancarsi con l’eden calabrese scoperto dal neolaureato dell’Unical. Il resto, appunto, è solo un brutto film.

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