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di ETTORE JORIO
Il Governo ha emanato, con il voto contrario della Lega Nord, un decreto legge di tre articoli con il quale ha autorizzato il trasporto e lo smaltimento della monnezza campana al di fuori del territorio regionale. Il tutto derogando alla vigente disciplina e subordinando il trasferimento dei rifiuti al rilascio di un apposito nulla osta da parte delle regioni riceventi. Un provvedimento inadeguato, adottato nella logica di volere dare l’impressione di rimediare al dramma napoletano. Insomma, una necessità congiunturale della politica, piuttosto che una soluzione reale. Se ne è accorto il capo dello Stato che, una volta promulgato il provvedimento (atto dovuto, viste la palese necessità e l’urgenza che il problema suggerisce), ne ha praticamente dichiarato la parzialità e l’insufficienza. L’esecutivo, dopo le promesse sbandierate ovunque dal suo premier di rendere Napoli pulita, suppone di risolvere la questione, da sempre irrisolta, attraverso due misure. La prima, di eliminare l’inconveniente, divenuto (ahinoi!) oramai strutturale, limitandosi ad esportare l’immondizia in altre regioni. Una metodologia, questa, nei confronti della quale pure la Conferenza Stato-Regioni ha manifestato il proprio dissenso. La seconda, di opporre all’attuale disastro ecologico (e al rischio sanitario che una tale situazione comporta) l’impegno ad approntare un piano straordinario, da definire entro un mese (quindi, in piena calura agostana), per la realizzazione di impianti per lo smaltimento, garante della soluzione definitiva. In buona sostanza, l’esecutivo è ricorso a misure sottotono che, di fatto, si limitano a rimuovere l’attuale divieto di trasferire altrove i rifiuti propri (art. 1); ad ampliare i compiti dei commissari nominati dal governatore campano (art. 2); a stabilire la destinazione prioritaria dei trasferimenti dei rifiuti nelle regioni confinanti (art. 3). Un assurdo, quest’ultimo, stante l’inadeguatezza strutturale di siffatte regioni a smaltire finanche i propri, tant’è che si ricerca il consenso in altre direzioni, nonostante la manifesta chiusura dei governatori leghisti. Tutto questo è la prova provata di un sistema che non funziona, sia nella ordinarietà che nella straordinarietà. Che non sa fare sistema nella tutela degli elementi costituzionalmente protetti, primi fra tutti la sanità, il sociale, l’ambiente e i trasporti locali. La dimostrazione di tutto questo risiede nella tipologia di decisione assunta dal Consiglio dei ministri sull’emergenza rifiuti di Napoli e negli insuccessi fino ad oggi conseguiti al riguardo da tutti i governi. Viene fuori, ancora una volta, l’inadeguatezza del sistema Stato e l’incapacità di governo del quello sub-statale. Quanto al sistema Stato, esso dimostra la sua inadeguatezza nell’assumere positivamente un ruolo sostitutivo degli enti territoriali (ex art. 120, c.2, Cost.), nell’ipotesi di loro manifesta defaillance nello svolgimento dei loro compiti istituzionali. Quanto a quello autonomistico (Regioni, Province e Comuni), esso continua a dare ampia testimonianza della sua incapacità nell’affrontare i problemi emergenti, ma anche di costruire una propria efficiente rete dei servizi più essenziali. Tutto questo lo si constata da tempo. – Con il dramma dei rifiuti, che rintraccia il suo apice in Campania, ma che è a verosimile rischio altrove, compresa la nostra regione. Un tema, questo, che rappresenta uno dei più gravi problemi che affliggono molte realtà geografiche del Sud. Quelle non avvezze culturalmente ad affrontare l’insediamento a regime della raccolta differenziata. Quelle non all’altezza di riorganizzare la raccolta e lo smaltimento con il ricorso all’uso delle migliori tecnologie non inquinanti. Quelle soprattutto incapaci di espellere dal relativo business la delinquenza organizzata che gestisce da sempre la relativa emergenza e non solo, praticamente l’intero ciclo dei rifiuti. – Con l’inarrestabile devastazione idrogeologica, che impone ovunque e routinariamente drammi, della quale ci si accorge allorquando ci sono i morti in casa, con cerimonie piene di enfasi e buoni propositi. – Con il colpevole inquinamento delle acque e del suolo (salvo i risultati sulla “potabilità” del mare promossi dalla politica marketing con l’approssimarsi dell’estate). – Con la gestione nella sanità, con cinque regioni commissariate, tra le quali, appunto, la Calabria, che avanza nel debito e arretra in qualità delle prestazioni rese alla collettività. Per intanto, il federalismo fiscale incombe, con le sue risorse budget tate e le responsabilità sanzionate. Sarà la soluzione a tutto questo? Può essere. A condizione che si sappia “mettere in campo” (per usare una metafora cara al premier) una nuova classe dirigente, con un corpo elettorale che impari a fare bene il giudice/arbitro dei suoi rappresentanti, punendo gli inadempienti e premiando i capaci. Insomma, il federalismo fiscale può essere un’occasione per il Mezzogiorno. L’ultima. Lavoriamoci sopra, tutti insieme.

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