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di ENNIO STAMILE
Finalmente è arrivato. L’atteso decreto sulla riorganizzazione della sanità calabrese porta la data del 20 ottobre 2011 e la firma del Commissario, il Presidente Scopelliti. Nella premessa si legge che esso è frutto di una «attenta ricognizione con relativa analisi dei consumi e della produzione ospedaliera che ha definito il fabbisogno di assistenza della popolazione tenendo conto dell’appropriatezza clinica, organizzativa e di efficienza del processo produttivo alla luce di quanto previsto dal Patto della Salute, dell’analisi epidemiologica del proprio contesto, della sicurezza degli ospedali e delle condizioni orografiche e tempi di percorrenza». La regione è stata divisa in tre grandi aree: nord, centro e sud. Ognuna di queste grandi aree avrà un ospedale con funzioni di Hub (cioè una struttura sanitaria ben organizzata ed in grado di far fronte a qualsiasi tipo di emergenza ed intervento previsto dal piano sanitario nazionale), mentre otto saranno in totale gli Spoke: tre al nord, tre al centro e due al sud. Questi ultimi sono i presidi ospedalieri organizzati in modo da tale da essere di supporto agli Hub. Nello stesso decreto, ovviamente, sono previsti una serie di strutture inferiori che dovrebbero andare a coprire tutte le aree del territorio regionale fornendo un’adeguata assistenza con «una nuova rete ospedaliera». I criteri utilizzati per detta rioganizzazione sono: l’entità dei posti letto esistenti per soggetti erogatori pubblici e per soggetti erogatori privati per acuti e post acuti; l’entità di posti letti derivanti dal fabbisogno della popolazione, e la differenza tra posti letto pubblici esistenti prima del decreto 18/2010 e quelli derivanti dalla riorganizzazione del fabbisogno articolato per aree geografiche. Il termine massimo per la dismissione dei letti in esubero negli ospedali con funzioni di Hub è fissato per 31 dicembre 2011, mentre avranno tempo fino al 31 marzo 2012 gli Spoke e le strutture da riconvertire. Chi legge queste premesse tira un sospiro di sollievo. Finalmente, l’immane disastro della sanità calabrese – con un ossimoro definita malasanità – che in altri contesti abbiamo definito la prima emergenza sociale della regione, inizia ad essere “curata”. La terapia sembrerebbe anche quella giusta, peccato però che quando si giunge ad applicarla nel concreto i principi sanitari lasciano il campo a quelli politici. Già perché in Calabria, il resto del Meridione non è da meno, la sanità serve alla politica non viceversa. Prendiamo ad esempio il caso degli Ospedali Riuniti di Cetraro-Paola con funzioni di Spoke riconosciute nelle stesso decreto. A parte il fatto, pure emblematico per non dire scandaloso, che il TAR prima ed il Consiglio di Stato poi ha deciso di accogliere il ricorso proposto dall’Amministrazione comunale di Cetraro avverso l’incomprensibile delibera dell’allora direttore generale dell’Asp Franco Petramala, con la quale veniva deciso il trasferimento del reparto ortopedia nell’Ospedale di Paola e che di detta decisione non se ne tiene affatto conto. A molti ciò non fa specie alcuna. Infatti, il presidente Scopelliti in questo evidentemente ha un ottimo maestro, il premier Berlusconi, che quanto alle decisioni della magistratura, sappiamo bene, non sono quasi mai di suo gradimento per cui è sempre meglio non tenerne conto. Ma ciò che più disorienta è il fatto che viene depotenziato un Ospedale come quello di Cetraro che ha una superficie coperta di ben 27 mila mq. a fronte dei 10 mila di Paola. Inoltre, una ubicazione baricentrica e relativa ottima viabilità, elisuperfice, ampia recettività dello stabilimento (capienza oltre 300 P.L.), già sede del DEA I livello e attuale sede del reparto di Terapia Intensiva e Rianimazione. Il primo paradosso è che nel P.O. di Cetraro vengono previsti 118 P.L. e ben 137 nello Stabilimento di Paola, quindi lo stabilimento con la migliore e più ampia recettività si trova a dover accogliere un minor numero di P.L. mentre si preferisce stipare il grosso dei P.L. in una struttura oggettivamente meno capiente, con la evidente necessaria ristrutturazione e conseguente impegno economico, spazi che dovranno essere utilizzati anche per i servizi, la maggior parte dei quali possiamo immaginare verranno ubicati nello stabilimento di Paola. Ulteriore paradosso, ancora più grave rispetto al primo, è la decisone di mantenere il reparto di Terapia Intensiva e Rianimazione a Cetraro mentre chirurgia, cardiologia ed altri saranno straferiti a Paola. Non è richiesta esplicita competenza in materia, per comprendere che questi reparti sono sussidiari alla stessa Terapia Intensiva. Nei primi giorni di febbraio del corrente anno, dalla pagine di questo stesso Giornale, all’indomani del Convegno Caritas sulla sanità calabrese, scrivevo: “«La riorganizzazione che tutti si auspicano in Calabria non è certo un mero tagliare, ma una riqualificazione, che serva davvero il bene di tutti e di ciascuno. L’organizzazione sanitaria regionale è da migliorare in termini di qualità e di efficacia al fine di dare centralità alla persona assistita, nelle attività di prevenzione, di cura, di riabilitazione». La commissione parlamentare per gli errori in Sanità presieduta dal portavoce nazionale di Leoluca Orlando, lunedì scorso ha rilasciato i dati legati a 470 casi di ritenuta malasanità verificatisi tra l’aprile 2009 e il 30 settembre scorso vagliati dall’organismo parlamentare. Le cifre, come sempre, ci parlano di un sistema sanitario calabro a dir poco disastroso, fatte salve le poche eccezioni. Infatti, con ben 97 episodi la Calabria è il territorio che detiene saldamente il primato negativo nel Paese. Se poi scendiamo nel merito, i ritenuti errori in tutto sarebbero 326 (223 letali). E la Calabria ancora una volta svetta per quantità e gravità dei casi di malasanità, col 25,1% dei presunti errori (in cifre assolute fanno 82, con ben 67 eventi mortali). Auguriamoci che questo triste primato finisca presto. Ma il tanto atteso Dpgr n. 106 del 20 ottobre 2011, con le sue evidenti intrinseche contraddizioni, non ci fa certo ben sperare.

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