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di PAOLA RIZZUTO*
Quel che colpisce di questa epoca che viviamo è questa sorta di “distrazione collettiva” per cui si continua a vivere come se niente fosse, convinti che in certi luoghi non è neppure necessario che qualcuno ti minacci per “non farti parlare” perché si sa talmente bene che è inutile, che le istituzioni già sanno e lasciano correre e che alla fine ci si trova a combattere da soli, che si rinuncia in partenza. Ebbene, quando si instilla nel cuore della gente un sentimento così, non si tratta più di voler denunciare e non avere la forza di farlo, semplicemente non ci si pensa più. Per questo la prima battaglia da vincere è contro la propria rassegnazione. Vinta quella, superando la soglia di sopportabilità quotidiana, si può portare avanti qualsiasi battaglia di dignità, consapevoli che diversamente si ucciderebbe la speranza. Ed allora raccontiamoci alcune verità. In Italia negli ultimi giorni sono occorsi fatti gravissimi che hanno fatto irruzione in una sorta di catastrofe conclusiva, che ha offerto, tuttavia, soprattutto a chi vive al Sud, terra dominata dalla “cultura della protezione”, e in Calabria, in particolare, ancora in lutto per la tragedia della frana sull’A3, nel tratto Altilia Grimaldi, ove una collina ha ceduto per il maltempo registrando due morti e tre feriti, un’occasione di riflessione, reazione e riscatto. E invero, per il dissennato consumo di un territorio già segnato da frane e fenomeni di dissesto idrogeologico, alimentato da un diluvio di centri commerciali e cemento, legale e abusivo, siamo a rischio perché, volendo usare un’efficace metafora, potremmo dire che l’Italia è una penisola posta su un’enorme bacinella d’acqua. Le intense piogge di questi giorni non bastano, pertanto, a giustificare il continuo stato di calamità naturale in cui si trova il nostro territorio. Per risolvere il problema è necessario superare la logica emergenziale d’intervento. È opportuno, inoltre, che ognuno cammini guardando come oggi si continua a costruire e a modificare il territorio alterando irreparabilmente la regia millenaria della natura che ha, invece, bisogno del suo equilibrio e della sua struttura. Il pragmatismo e la fisica ci hanno insegnato, infatti, che se si interrompono le vie sotterranee di deflusso delle acque, si provocano inondazioni e poi frane di terra intrisa di quell’acqua. In un’area a forte rischio idrogeologico, quindi, l’edilizia dovrebbe seguire regole ferree. Ma ancora oggi non è così e si vedono opere pubbliche e private costruite criminalmente con il calcestruzzo impoverito e depotenziato, dal Trentino all’Abruzzo e giù fino alla Sicilia. Ad aggravare il quadro, purtroppo, c’è da rilevare, ancora, che in Italia stiamo anche pagando il conflitto tra Stato e Regioni sulle competenze sulla difesa del suolo che paralizza l’applicazione corretta delle direttive europee che dovrebbero garantire sicurezza e tutela delle acque (dir 2000/60/CE “Acque”, 2007/60/CE “Rischio alluvionale”). Un’Italia a rischio per il disprezzo per l’ambiente e la salute dei cittadini di molte imprese produttrici di rifiuti e dei trafficanti senza scrupoli che li smaltiscono, ovunque e in ogni modo. A rischio per l’inerzia delle istituzioni cui spetterebbe il compito di provvedere alla bonifica dei territori contaminati dai veleni che invece continuano a inquinare aree agricole e falde idriche. A rischio per le inadempienze degli amministratori pubblici e gli impegni non mantenuti dai politici. A rischio di devastazione ambientale come è avvenuto nel tanto caro Mare Nostrum, il Tirreno, in cui tonnellate di fanghi sono state sversate direttamente in mare, con quotidiana elusione delle normali pratiche di trattamento degli inquinanti. Di notte, stessa procedura (ovunque praticata, quando si tratta di illecito smaltimento dei rifiuti e disastro ambientale!!!): strani movimenti di cui nessuno è mai testimone, sversamenti illegali praticati con mezzi pesanti a fari spenti, reflui che vengono gettati direttamente in mare, ovvero fanghi non depurati per impianti di depurazione assenti o malfunzionanti, risultati fortemente inquinati dal punto di vista microbiologico, che vengono interrati nei torrenti e trascinati a mare dalle acque dei fiumi in piena, con l’effetto, ovviamente, di una poltiglia maleodorante di miasmi, ovvero, quando vengono gettati direttamente a mare senza prima depurarli per risparmiare, con l’effetto di vedere quelle macchie giallastre e verdognole, che si vuol far passare per mucillagine!!!! I depuratori, in Calabria, nonostante l’ingente apporto dei fondi Por, vedono compromessa la loro funzionalità in quanto gestiti come infrastrutture con ottimi affari spesso al centro di interessi illeciti. Finalmente un’inchiesta che oggi rileva relazioni illecite o comunque omissioni di intervento che saranno oggetto di indagine. Ma il problema della depurazione rimane il vero tallone d’Achille e non solo per la Calabria, ma per l’intero nostro paese. Così l’Italia si ritrova con l’ennesima procedura d’infrazione aperta a suo carico dalla Commissione europea. È dal 1998 che avrebbe dovuto mettersi in regola con i sistemi di depurazione delle acque reflue, come richiede la direttiva europea (1991/271/CE) ma, ad oggi, la copertura del servizio in Italia arriva appena al 70,4%, lasciando un’ampia parte della popolazione sprovvista di sistemi adeguati di trattamento delle acque. Un’Italia a rischio, infine, per il cinismo barbaro dei boss che trasformano la devastazione delle stesse terre in cui vivono con le loro famiglie in un’inesauribile fonte di profitti illeciti. Siamo esattamente nel cuore di un problema generalizzato e politicamente trasversale che da decenni meritorie associazioni denunciano: l’Italia è diventata la prateria di una devastazione selvaggia di ciò che un tempo era il paesaggio italiano per cui bisogna porre rimedio a quelle situazioni che mettono a rischio non solo la bellezza dei nostri litorali, ma anche la loro salubrità. Ebbene, non è solo un estetismo nostalgico che ci deve indurre a riflettere e a parlare. Bisogna uscire dalla logica dell’emergenza. Emergenza frane, emergenza depurazione, emergenza rifiuti.. Perché di disastri ambientali e dissesti si inizia a parlare sempre a partire dalla conta delle vittime? La dicotomia moderna è fra l’inganno e la verità e per parafrasare il linguaggio degli ambientalisti, la dignità deve svegliarsi e difendersi dalla miriade di “eco-balle” che ci vengono somministrate cotidie: l’ambiente non è altro dagli uomini, è il luogo in cui viviamo, se si ammala ci ammaleremo anche noi, se la natura si ribella agli interventi antropici, non è la natura feroce, è l’uomo incosciente e ingordo: “troppo cemento lungo i corsi d’acqua e in prossimità di versanti franosi e instabili” rende inevitabile l’effetto, nessuna sorpresa, dunque, se i corsi d’acqua si riprendono i loro letti naturali o se una montagna frolla travolgendo case e capannoni. Anche il sistema sanzionatorio in tema di reati ambientali è troppo blando e pecca di gravi incongruenze, se è vero, come è vero, che per taluni reati chi contravviene ha preferito rischiare una multa (ammesso che chi si è apprestato a commettere l’illecito sia stato beccato!!!) per scarico nel fiume che sostenere il costo certo della discarica!!! Anche le nuove norme che hanno approvato il decreto legislativo di recepimento delle direttive Ue 2008/99 e 2009/123 sulla tutela penale dell’Ambiente, sono troppo leggere e, tra l’altro, “non è stato previsto nulla per i reati nell’ambito del ciclo del cemento lasciando, di fatto, senza tutela il paesaggio e la fragilità geomorfologia e urbanistica dei territori”. Insomma, tante sono le ferite purulente inflitte alla nostra terra: l’Italia è un paese costantemente sull’orlo del disastro. Un paese pericolante, sfregiato dall’abusivismo edilizio e dall’anarchia cementificatoria, con piani regolatori che hanno puntualmente disatteso i rischi idrogeologici e sismici. A ciò si aggiungono incendi e disboscamenti, che rendono i terreni fragili e franosi ed edifici costruiti con calcestruzzo scadente o con evidenti errori progettuali, mancati riammodernamenti degli acquedotti, delle reti fognarie e dei depuratori, emissioni di Co2, il problema dello smaltimento dei rifiuti e la scarsa spinta per le fonti di energie rinnovabili. Ebbene le cure di queste ferite servono solo a risolvere l’emergenza, per cui non c’è mai una guarigione definitiva. Miopia politica, istituzioni disattente, illeciti ambientali e urbanistici non incalzati in modo prioritario, interessi di parte, verità manipolate e incoscienza collettiva. In questo clima generale, tra pochi giorni ci sarà l’inaugurazione della multisala di Zumpano, definita struttura avveniristica, che insiste su quella stessa area interessata solo pochi mesi fa da una grossa frana che ha impaurito e fatto riflettere più di qualcuno. Quel mercoledì mattina del due marzo, alle 7.20, una collina di contrada Malavicina, a Zumpano, s’è sbriciolata a causa delle forti piogge, spingendo un’enorme massa di fango e detriti contro il sottostante supermercato “Lidl”. Lo abbiamo già dimenticato quel triste episodio o siamo stai semplicemente distratti da altro? La zona è ad altissimo rischio frana, sia a monte che a valle. Già l’anno prima si era verificata la stessa frana che ha raggiunto proprio la multisala, allora costruenda, ricoprendo il suo parcheggio con due metri di detriti. L’interrogativo che dovrebbe sollevarsi nell’inquietudine generale allora è: si poteva costruire sotto quella montagna? È possibile garantire la messa in sicurezza di quel costone??? Et voilà, bisognerebbe tremare dinanzi a tanto avvenirismo se può essere foriero di tragedie ancora una volta preannunciate! Epperò, come in tutto, come sempre, contano le persone. Conta l’onestà di chi vuole fare bene il proprio mestiere.

*avvocato e vicepresidente dell’Unione Italiana
Giuristi Cattolici di Cosenza

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