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di ETTORE JORIO
La decisione del Governo di approvare definitivamente il federalismo municipale, prescindendo dal parere negativo della cosiddetta bicameralina, dimostra spregio della Costituzione e delle leggi ordinarie. Ciò è desumibile da quanto accaduto nella seduta del Consiglio dei ministri, svoltasi nella tarda serata del 3 febbraio appena trascorso, a distanza di poche ore dal pareggio in Commissione bicamerale, ex articolo 3 legge 42/09, e nell’immediatezza del voto alla Camera, favorevole alla maggioranza, sulla decisione assunta dalle Giunta delle autorizzazioni a procedere sul caso oramai noto come “Ruby”. Con la decisione assunta, l’esecutivo imbocca la strada del contenzioso giudiziario, sempreché il neodecreto legislativo riesca a passare indenne l’esame del Capo dello Stato, che ne deve curare l’emanazione, quella procedura non formale ma propedeutica alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Una ipotesi che, francamente, appare assai difficile a realizzarsi nel breve periodo, considerate le dichiarazioni di ieri del presidente della Repubblica che, nell’esercizio delle sue prerogative, lo ha dichiarato irricevibile, attesa la palese violazione delle procedure fissate nella legge di delegazione. La magistratura amministrativa e tributaria (quest’ultima invocata a cura dei contribuenti eventualmente lesi) che sarà, certamente, chiamata all’esame “incidentale” del provvedimento legislativo, sotto il profilo della conformità del suo dettato con la Carta, nei contenziosi verosimilmente intrapresi avverso gli atti applicativi che ne deriveranno, non potrà esimersi dall’accogliere le palesi eccezioni di incostituzionalità, rimettendo le decisioni relative alla Consulta. Le violazioni della delega, a suo tempo assegnata all’esecutivo (legge 42/09), e dei principi fondamentali che regolano e regolamentano la formazione dello specifico provvedimento legislativo sono così palesi da destinare un breve e sofferto destino al decreto legislativo varato dal Consiglio dei ministri. Dunque, un tassello importante e fondamentale dell’impianto del federalismo fiscale destinato ad un atto legislativo di corto respiro – sotto il profilo strettamente giuridico – e prodotto nella più inaudita prepotenza politica, inadeguata a perseguire lo scopo. Limite giuridico. Il Governo ha ritenuto di seguire un iter che non appare affatto condivisibile. Lo stesso ha ritenuto di valutare, allo status quo, come percorribile il primo periodo dell’art. 3, comma 4 della legge 42/09 che recita “Decorso il termine per l’espressione dei pareri di cui al comma 3 (60 gg.) i decreti possono essere comunque adottati”. Una opzione, questa, non sostenibile in rapporto a quanto precisato dal regolamento applicabile alla valutazione degli esiti della commissione interessata, la cosiddetta bicameralina. Un regolamento che prevede, in caso di pareggio dei voti, il consolidarsi di un parere negativo. In quanto tale, da impedire l’applicazione della procedura utilizzata e di imporre, di contro, quella sancita dal comma successivo, il quarto. Una previsione legislativa che avrebbe obbligato il Governo a ritrasmettere i testi – peraltro integrati e modificati rispetto a quelli originariamente trasmessi alle Camere nel novembre 2010, e sui quali si erano espresse le Commissioni Finanze e Bilancio – corredati da apposite comunicazioni, anche riferite alle modificazioni apportate. Una procedura che avrebbe abilitato l’esecutivo ad approvare definitivamente il provvedimento, ove mai richiedendo alle aule parlamentari di approvare preventivamente una apposita risoluzione di maggioranza di condivisione delle scelte del Governo. Una possibilità che c’era, nel rispetto del dettato legislativo, approvato bipartisan nel maggio 2009. Dunque, una occasione mancata. Si è preferito invece mostrare i muscoli (!), piuttosto che lavorare e produrre nell’interesse nazionale. La prepotenza politica e l’inadeguatezza. A ben vedere, alla ricerca della corretta procedura, sì è privilegiato il percorso più diretto per spaccare in due il Paese. Più di quanto lo sia già. Certo, un bel modo per festeggiare il 150° dell’Unità d’Italia e per garantire il consenso più vasto alla riforma della finanza pubblica e del sistema tributario. Non è certo questo il percorso ideale per assicurare la corretta applicazione del federalismo fiscale. Come si può pretendere di realizzare un federalismo municipale, condivisibile in linea di massima quanto ai contenuti, senza garantirsi il necessario consenso delle istituzioni sub-statali destinatarie, molte delle quali amministrate dal centrosinistra? Ed ancora, come si può pretendere di ragionare costruttivamente e, quindi, conseguire la leale collaborazione delle regioni più in generale, utile anche ad approvare gli altri decreti attuativi, specie quello ove si sancisce il loro grado di autonomia finanziaria e il funzionamento dei loro sistemi sanitari? Insomma, si sono scritte cose accettabili, anche se da modificare in diversi punti, sì è sbagliato anche il modo! Lega docet!

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