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di LUCIANO CONTE
La politica estera di sicurezza e di difesa dell’Ue necessita di una nuova road map: è la richiesta prioritaria che viene rivolta all’Europa, per una più incisiva azione nell’affrontare la Primavera araba e il problema della Libia. Infatti l’approccio dell’Unione verso la Siria viene giudicato come non equilibrato, mentre Catherine Ashton, capo della politica estera europea, deve aggiornare l’azione diplomatica per assicurare un rapido cessate il fuoco in Libia e un atteggiamento più deciso contro i governi della Siria, del Bahrain e dello Yemen, consegnando, se necessario, le autorità nazionali alla giustizia. La situazione in Siria è “un grande disastro” e sta diventando “la Tienanmen araba”, per cui lo stesso presidente Bashar al-Asad deve essere incluso “al più presto” nella lista concordata il 6 maggio dal Consiglio, imponendo il divieto di espatrio e il congelamento dei beni agli alti funzionari siriani. L’embargo sulle esportazioni di armi nei confronti di Siria, Bahrein e Yemen è una delle richieste più cogenti, anche per il Parlamento europeo, che ha chiesto di sospendere i negoziati per un Accordo di associazione con la Siria, appoggiando l’idea di sanzioni mirate nei confronti del regime. L’annuncio che un ufficio Ue sarà presto aperto a Bengasi “per assistere le persone e il Consiglio nazionale transitorio” è il primo passo di una diplomazia che si muove con autorevolezza, mentre il mandato Onu di protezione dei civili libici non deve essere esercitato con un uso inappropriato della forza: è il monito del Parlamento europeo, che ha esortato, in un testo approvato, a lavorare in stretta collaborazione con le forze d’opposizione libiche (il Consiglio nazionale transitorio)- e a “giocare un ruolo forte nel promuovere iniziative politiche” per garantire una rapida soluzione del conflitto e per fermare gli spargimenti di sangue. L’obiettivo, comunque, resta quello delle dimissioni di Gheddafi e quello dell’invio di immediati aiuti umanitari a Misurata e nelle altre regioni libiche. Occorre per una saggia politica di equilibrio “condurre un’inchiesta sull’uccisione dei dissidenti iraniani nel Campo Ashraf in Iraq”, chiedere governo di Israele “di restituire le tasse palestinesi ai Territori”, evitare la scelta dell’Ue di mantenere le relazioni con Hamas, dopo la recente conciliazione con Fatah. Una politica a tutto campo, che rilancia il problema del rilascio dei prigionieri in Bielorussia e ripropone le indagini sul presunto traffico di organi in Kosovo, farà crescere il ruolo dell’Ue, sottolineando come l’Europa dovrebbe imparare dalle passate esperienze e porre, quindi, il rispetto dei diritti umani in cima alla propria agenda politica con i paesi terzi e nel contesto degli accordi internazionali, come, ad esempio, per quelli con la Russia e con l’India. Per rafforzare la presenza dell’Europa nell’ambito delle principali organizzazioni multilaterali, diventa attuale la proposta di avere un seggio permanente per l’Unione nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Va in questa direzione il voto dell’Assemblea di Strasburgo in favore di uno status speciale per l’Ue che permette ai funzionari dell’Unione di intervenire durante i lavori, senza diritto di voto. Forse si va verso un rafforzamento dell’azione diplomatica europea per una politica che superi il burocratismo e per una Unione che, come forza propulsiva, agisca a salvaguardia dei diritti umani e delle libertà dei popoli.

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