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JOPPOLO (VV) – Il Tar del Lazio, con sentenza depositata mercoledì 3 giugno, ha accolto il ricorso proposto dal sindaco Giuseppe Dato e da altri tre consiglieri di maggioranza avverso il decreto presidenziale di scioglimento del consiglio comunale di Joppolo per condizionamenti della criminalità organizzata. Così disponendo i giudici amministrativi hanno annullato il decreto di scioglimento del consiglio comunale di Joppolo disposto nel febbraio 2014 e ha ordinato il ripristino degli organi elettivi. La sentenza, in sostanza, si pone in linea con una precedente decisione del Tribunale di Vibo Valentia che aveva respinto la proposta di incandidabilità dell’ex sindaco e di due ex assessori.

I giudici del Tar hanno ritenuto che «la tesi della sussistenza di elementi probanti di condizionamento e collegamento è rimasta indimostrata, perché non emergono concrete azioni di interferenza amministrativa poste in essere da appartenenti a cosche operanti nel territorio …».

In particolare dalla sentenza emerge come tutti gli elementi che hanno portato allo scioglimento del civico consesso non possono dimostrare quella «consistenza e unidirezionalità necessaria a permettere una fondata percezione della loro forte e decisa valenza rivelatrice dei collegamenti esistenti tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata».

Nello specifico il verdetto giudica «di per sé non particolarmente significativo» il rapporto di parentela di uno dei consiglieri eletti nella maggioranza con un genero di una delle famiglie della cosca egemone nel territorio, tratto in arresto durante l’operazione della Dda di Catanzaro Black Money e poi prosciolto per non aver commesso il fatto.

Riguardo al contenuto di tre intercettazioni telefoniche tra alcuni candidati della maggioranza tra cui una del sindaco con un consigliere provinciale zio di uno dei candidati nella maggioranza e cugino del succitato genero della famiglia di ‘ndrina, per il Tar «deve ritenersi che gli episodi riferiti sono privi della pretesa valenza di prova da parte della criminalità organizzata del risultato elettorale, essendo basati su fatti privi della necessaria univocità e di rilevanza».

Passando ai rilievi mossi ai singoli consiglieri per fatti loro propri o per rapporti di parentela o di frequentazione «appare pacifico – scrivono i giudici amministrativi – il fatto che l’indagine concernente il sindaco, diversamente da quanto riferito nella proposta ministeriale, non si riferisce ad ipotesi di reato riconducibili alla criminalità mafiosa».

Quanto alle frequentazioni attribuite al sindaco i giudici romani rilevano come la relazione che accompagna il decreto di scioglimento «indichi dei singoli incontri con soggetti a carico della maggior parte dei quali vengono rappresentati, sotto la dizione “pregresse vicende penali” meri pregiudizi di polizia, non concernenti reati di mafia». Stesse considerazioni di irrilevanza vengono fatte in relazione alla riferita presenza di persone sospette ai festeggiamenti elettorali. In relazione al fattore «contesto territoriale» in cui si colloca il comune per il Tar «nessuna realtà locale deve scontare, in linea di principio, la mera appartenenza a un più vasto territorio ritenuto pervasivamente interessato dalla presenza di fenomeni criminali radicati e organizzati nel territorio». Infine, non significative di condizionamento appaiono le vicende relative alle rilevate irregolarità amministrative.

 

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