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di MICHELE GRAVANO
BISOGNA essere grati al direttore Cosenza per il suo editoriale a commento di episodi tragici che hanno visto protagoniste donne calabresi che hanno pagato con la morte la volontà di liberarsi dalla condizione di ricatto, di oppressione, di mortificazione che segna l’appartenenza a cosche mafiose. Il nudo elencare la cronaca giudiziaria e investigativa è quanto mai eloquente e sollecita riflessioni e interrogativi che devono riguardare tutti: laici e cattolici. Intendo dare un contributo alla riflessione ed essere compartecipe della proposta avanzata dal direttore. Il contrasto comune alle tre donne tra l’aspirazione a una vita normale, libera, civile, rispettosa degli altri, delle altre e di sé, cozza tragicamente con la dura logica della prepotenza mafiosa che non ammette nulla al di fuori dei propri sanguinosi traffici, dei riti di omertà maschilista, della cultura della violenza e della morte, dell’arrogante e ostentata accumulazione di ricchezza. In questo contrasto si decide il destino di queste tre donne e chissà di quante altre che non sono emerse agli onori della cronaca. Giustamente si dice che non possiamo essere spettatori e che a tutti tocca inserirsi in questi interstizi della coscienza, luoghi decisivi nei quali si gioca la partita con la consapevolezza che un elemento di complicazione sta nei legami e nella cultura della famiglia. Queste tre donne hanno vissuto un tormento interiore nel dover combattere tra gli affetti di una vita, che sono i più cari e i più difficili da spezzare. Non si può andare contro il padre, la madre, le sorelle, i fratelli, senza tensioni e indicibili lacerazioni. Lo scontro è duro tra la logica e il desiderio di affrancarsi ed essere normali e i ricatti, le sottili e insistenti insinuazioni che tutto ciò è fuori dall’interesse familiare, dalle convenienze e dalle oppressive connessioni con il tessuto connettivo della comunità. È difficile ancor più per una donna e per una donna in Calabria. Le debolezze, le continue oscillazioni tra il desiderio di riscatto e il cedimento ai ricatti ne segna l’esistenza fino all’autodistruzione. È pur tuttavia già questo tormento segno di un coraggio profondo e di rotture che si annunciano come possibili, di un fiume carsico che si muove e cresce progressivamente per irrompere nella razionalità e in modalità di vita civile. Anche la Chiesa deve riflettere su queste storie e far sentire la propria voce e la propria condanna. Sul terreno della coscienza e dei valori della famiglia la Chiesa ha strumenti e autorevolezza. Queste famiglie (sicuramente cattoliche) vanno condannate. Questi atteggiamenti vanno riprovati fino alla scomunica e vanno onorate come martiri, le vittime. Sì, bisogna riflettere, non dimenticare. Onorare, da parte di tutti quelli che lottano quotidianamente le mafie, e utilizzare anche le potenzialità che queste storie segnalano. Le donne e la Cgil Calabria hanno inteso e intendono cogliere la proposta di Matteo Cosenza: il prossimo 8 marzo sia dedicato a Giuseppina e alla memoria di Maria Concetta e Lea e di tutte le donne assassinate dalla ‘ndrangheta. Ritroviamoci tutti e tutte assieme per ricordare e onorare in uno o in tanti appuntamenti e rilanciare un grande impegno comune a laici e cattolici. La proposta del direttore è segno di sensibilità democratica profonda. Ci auguriamo, mi auguro, che altri e altre con essa si misurino e che Matteo Cosenza voglia promuovere altri momenti di incontro di quella bella Calabria che non si piega, si indigna e con orgoglio vuol cambiare il volto e l’immagine della sua terra.

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