X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

POTENZA – È vero, il problema delle liste d’attesa in alcuni settori è davvero un problema per il San Carlo, ma c’è da tenere conto di tantissime variabili, in primis il fatto che all’interno dell’ospedale di Potenza sono state introdotte le classi di priorità di accesso a prestazioni e visite ambulatoriali. Questo significa che le attese sono gestite in base al tipo di patologia riscontrata al paziente. E questa è una cosa che si fa a monte, soprattutto tra i medici di base. In ogni caso a spiegare meglio le diverse questioni legate alle liste d’attesa è proprio il direttore generale del San Carlo Giampero Maruggi che parte da un presupposto: il sistema delle liste d’attesa non è strettamente legato al San Carlo, ma riguarda tutte e quattro le aziende sanitarie

«Noi siamo – dice –  un ospedale regionale che è votato a curare le complessità. Questo significa che per le prestazioni ambulatoriali non si dovrebbe venire al San Carlo. Eppure è un ospedale che esiste dal 1810 ed è profondamente radicato nel territorio. Alla fine è il cittadino a decidere».

Ma c’è un piano di normalizzazione? Sì, ma c’è da tener conto di un fatto: «Innanzitutto dobbiamo pensare ai nostri pazienti, ai ricoverati. E questo tira via una parte del tempo sugli esami. Detto questo però abbiamo normalizzato una gran parte delle liste, anche potenziando il concetto delle classi di priorità nonostante le liste d’attesa dipendono dalla domanda e dall’offerta, due aspetti non facilmente governabili».

Dunque il concetto di classe di priorità è l’aspetto principale di questa lotta ai tempi estenuanti. Dividere l’utenza in classi significa ovviamente disporla per fasce di gravità. La terza fascia, quella che non richiede esami urgenti, è quella colpita maggiormente dai tempi lunghi di attesa. Questo si traduce in due aspetti: «Nel caso di un blocco vertebrale per esempio ci vogliono 10 giorni per un esame. In caso di un blocco totale la questione diventa invece urgente».

Ed eccolo il problema numero uno: «la richiesta – dice Maruggi – è spesso fortemente inappropriata. Ci sono dei test che vengono richiesti dal medico o dallo specialista senza grandi motivazioni. C’è un fenomeno dilagante della cosiddetta medicina difensiva. Il medico spesso fa una pesca a strascico, e prescrive tutto. Questo ovviamente appesantisce non poco la dinamica delle liste d’attesa».

E nel 2013 la capacità produttiva del San Carlo è stata addirittura «stressata». «Tutti i numeri del San Carlo sono in forte incremento. Abbiamo aumentato del 18% le prestazioni ambulatoriali per cercare di dare una risposta efficace alla domanda. Il problema è che abbiamo una domanda in costante crescita. Se aumentiamo la capacità aumenta in maniera più che proporzionale la domanda». Insomma, c’è una questione che riguarda anche i cittadini secondo Maruggi: «Stiamo registrando – dice – un incremento del bacino di utenza da altre Asl e di altri comprensori. E nel caso dei 315 giorni per un ecodoppler c’è da fare un appunto: «L’ecodoppler è uno dei test più critici ha un livello di richiesta elevatissima. Ma qui abbiamo introdotto le classi di priorità.

Se c’è un problema serio in 15 giorni il test è fatto. Il nostro obiettivo, quindi, è quello di incrementare l’offerta su quelli che hanno realmente i problemi. Quindi, la visita cardiologica ha sì 86 giorni di attesa, ma nel caso di un’aritmia si aspetta massimo 10 giorni». Un caso limite è la risonanza magnetica, lo scorso anno a gennaio le liste d’attesa erano di 340 giorni. Dunque la soluzione? Un primo passo per Maruggi sta nella cittadella della sanità in costruzione proprio a ridosso dell’ospedale. «Stiamo valutando – dice – di mettere insieme quello che esprimiamo per creare una sola piastra ambulatoriale e razionalizzare molto la qualità della vita dei cittadini. Razionalizzare significa utilizzare medici d’ambulatorio e specialistiche tipiche del San Carlo in un unico luogo». Riunire tutto potrebbe essere un primo passo ma c’è un altro caso, quello del Bambin Gesù. Lì la questione è diversa. Il caso limite è quello di ortopedia pediatrica con oltre 130 giorni di attesa. In questo caso prima il dato di fatto: «Gli ambulatori – dice Maruggi – vengono letteralmente presi d’assalto e a noi spetta il compito di tarare le aperture degli ambulatori sulla base di una domanda di un territorio molto più vasto di quello regionale. La convenzione con il Bambin Gesù di Roma chiama molta utenza anche da fuori regione e attualmente stiamo lavorando per adeguare l’offerta. Il caso di ortopedia è questo: l’ortopedico fa due visite al mese, è chiaro che sono poche e dovremo lavorare per rafforzarne la presenza».

v.panettieri@luedi.it

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE