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di ANGELO CANNATA’
La casa editrice Rubbettino ha pubblicato Aspra Calabria, di Giorgio Bocca, con prefazione di Eugenio Scalfari. E’ un ottimo testo, intrigante dal punto di vista stilistico e letterario. Non esistono libri morali o immorali – diceva Oscar Wilde -. I libri sono scritti bene o sono scritti male. Lode alla Rubbettino, dunque, per la sua scelta editoriale. Quanto al dibattito suscitato dal libro devo ammetterlo è interessante e pieno di pathos (e propone molteplici punti di vista), ma sfugge, a mio avviso, il dato essenziale: si rimprovera Bocca di descrivere senza risalire alle cause del degrado della Calabria (la storia, il dato sociologico, l’unità d’Italia, la questione meridionale). Anche Scalfari sarebbe responsabile di una scarsa conoscenza della cause storiche e sociologiche che affliggono il Sud. Non è così. Mi dispiace dirlo, ma è troppo superficiale il giudizio di qualche testo che si presenta come profondo. Si ignora, per fare un esempio, che il fondatore di Repubblica, già nel secondo dopoguerra, ha pubblicato sulla Nuova Antologia un saggio sulla Destra storica e poi, dire a chi ha dialogato più volte con Ralf Dahrendorf, di trascurare la sociologia mi sembra davvero troppo. La verità è un’altra: non si vuol comprendere che Scalfari ama Bocca proprio perchè sa descrivere: Poche parole, l’incipit, e da lettore sei catturato da quel racconto, ci sei entrato dentro fino al collo e ti sembra di leggere un romanzo con uomini d’avventura, guardie e ladri, corrotti e corruttori, tutto fantasia, un Hemingway, ma no, un Conrad che scrive sul cuore di tenebra. E invece… Invece stai leggendo il reportage di un giornalista che si è arrampicato fino a Platì, poi scenderà a Taurianova, a Gioia Tauro dove questa guerra di mafia non finisce mai. Scalfari paragona Bocca all’autore di Gomorra. Ieri leggevate Bocca – dice – oggi leggete Saviano. Mafia, ‘ndrangheta e camorra sono sempre lì da un secolo e mezzo. Solo che oggi, da Platì e dagli altri borghi-rifugio, gli ordini e gli affari arrivano a Milano, a Marsiglia, ad Amburgo, a Bogotà, a Tokyo, in Kossovo, in Montenegro, a Mosca. Si commercia la droga, si comprano i casinò di Las Vegas, fabbriche in Brianza, ristoranti a Roma, aree fabbricabili a Firenze e a Brescia. E’ lo stile di Bocca che cattura Scalfari. Ecco il punto: sono intellettuali che danno per acquisito il dato storico e d-e-s-c-r-i-v-o-n-o quello che vedono. Forse per questo sono molto amati. Niente storicismi, meridionalismi, vittimismi. Descrivono. E raccontano dure verità: lupi feroci o iene o faine i capi clan? Nell’aspra Calabria raccontata da Bocca queste tipologie zoologiche ci sono tutte, ma qualcosa è cambiato: il commercio della droga e il riciclaggio dei profitti ha trasformato i lupi in iene o serpenti o volpi, frequentano i partiti di governo e le banche, hanno amici potenti a Zurigo, alle Isole Vergini e nel Liechtenstein; i figli li mandano all’Università. La zoologia è cambiata ma i cuori sono sempre di tenebra. E’ la mafia imprenditrice che si lega alla politica. Mafia e politica. Dai mali della Calabria ai mali d’Italia. Sembrano problemi diversi, ma tutto si tiene: vent’anni fa stava per arrivare un’altra tempesta – ricorda il fondatore di Repubblica – un altro Tsunami sulla democrazia di questo paese. Arrivò appena due anni dopo quella inchiesta di Bocca sulla Calabria dei primi Novanta, sembrò un intermezzo da cabaret, Berlusconi, Dell’Utri, Previti, il partito dell’amore, il contratto con gli italiani, le escort. Ma i vari Macrì e Piromalli sono sempre lì e il cabaret è gestito da una cricca. “Money money money”, un vecchio satiro nel Palazzo e una certa Italia che recita la giaculatoria “meno male che Silvio c’è”. Ma noi continuiamo a pensare che alla fine la brava gente vincerà, che le cose cambieranno. Che altro potremmo fare se non coltivare questa speranza? Sono stato con Scalfari tre giorni a Lecce, per presentare il suo ultimo libro. Abbiamo parlato di tante cose (è un grande affabulatore), anche della prefazione al testo di Bocca. “Pensi davvero – gli chiedo – che non ci resti altro da fare che coltivare la speranza?”. Mi guarda, se la ride sotto la barba bianca, “Ho capito – dice – a cosa stai pensando. La speranza deve essere accompagnata dall’azione. I calabresi devono trovare l’orgoglio e la forza per un riscatto civile che passi attraverso l’impegno e un’acquisizione di responsabilità. Ma adesso andiamo, tra poche ore abbiamo il volo per Fiumicino”. Impegno e responsabilità, dice Scalfari. E’ un richiamo per tutti – nessuno escluso – ad uscire dall’apatia che rende complici dell’immenso degrado del Sud. Rubbettino e Cappelli, pubblicando questo libro – amaro, inquietante, forte, ma vero – hanno dato il loro decisivo contributo. I calabresi non perdano l’occasione per riflettere e liberarsi dal vittimismo, per cominciare ad agire. Qualcosa si comincia ad intravedere: la società civile è in fermento. La protesta e l’insofferenza aumentano. Bisogna continuare. Con Sartre: “L’uomo è ciò che fa, a partire dalle condizioni date”. Bocca e Scalfari ci hanno descritto “le condizioni date”. Prendersela con i giornalisti che descrivono e denunciano è peggio di un delitto. E’ un errore. Angelo CannatàAutore di “Eugenio Scalfari e il suotempo” (Mimesis, 2010), sta curando,per Mondadori, un Meridiano dedicatoa Scalfari. E’ calabrese e vive a Roma.

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