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di LUCIA SERINO

IL magistrato Bonomi denuncia altri due magistrati e una poliziotta per rivelazione di segreto: sospetta che possano aver passato le carte dell’interrogatorio da lui reso alla loro presenza ai giornali. Mercoledì sera Federica Sciarelli, commentando la scelta del rito abbreviato chiesto dall’imputato del delitto Claps, Danilo Restivo, si è posta come sostituto d’indagine affermando in sostanza che tutto quello che non sarebbe stato possibile chiedere durante le due udienze prossime venture lo avrebbe chiesto la sua trasmissione. Nel primo caso siamo alla pretesa di una restrizione del diritto d’informare, nel secondo caso davanti all’esatto opposto. Ci permettiamo di dissentire da entrambe le posizioni. Per motivi strettamente normativi sui quali invitiamo a riflettere soprattutto il dottor Bonomi, essendo di norme esperto. E anche per una ragione che attiene più strettamente alla nostra professione. Le norme del codice. L’interrogatorio di un indagato non è atto coperto da segreto, secretabile sì. A meno che, dunque, l’interrogatorio reso dal dottor Bonomi a pm Borrelli e Rossi alla presenza del vicequestore Barbara Strappato, non sia stato secretato, il contenuto di quel verbale, in quanto conosciuto dall’indagato (e dal suo difensore) poteva essere tranquillamente sintetizzato dai giornali. A voler andare per il sottile è vietato virgolettare, ma al di là di questo limite, qualunque cronista di giudiziaria sa come muoversi in questi casi. Ovviamente partiamo da posizioni neutrali, diverso è sospettare una divulgazione di segreto perché funzionale ad altro. Ma volendo rimanee sul terreno astratto, pur comprendendo e rispettando l’amarezza di Bonomi, a voler essere paradossali, le notizie ai giornali potrebbe, in teoria, averle passate anche l’indagato o il suo difensore. Previsto dal codice è anche la scelta di un accusato di omicidio di avvalersi del rito abbreviato, cioè di un giudizio allo stato degli atti che accelera il procedimento e consente, in caso di condanna, una riduzione della sanzione. I riti alternativi furono introdotti per deflazionare il sistema processuale. Un giornalista ha il sacrosanto diritto-dovere di indagare, andando oltre le carte processuali, come annuncia Sciarelli sul caso Claps, e se c’è un giudice che apprende notizie di reato dai giornali (ma non dai giornalisti) ben fa. I giornalisti devono mettere la firma sotto gli articoli, non sotto un verbale di polizia. E non è immaginabile aggredire le norme del codice sostenendo, in buona sostanza, che l’abbreviato non consente l’accertamento della verità sol perché non siamo sazi: non siamo sazi delle contestazioni, non siamo sazi della scelta processuale, non siamo sazi di testimonianze: di questo passo potremmo non essere sazi neppure delle sanzione, ma che mestiere facciamo?

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