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COSENZA – Sono passati 25 anni dal barbaro omicidio di Roberta Lanzino e ancora nessuno è stato giudicato colpevole di quel delitto. Nonostante si stia celebrando un nuovo processo in corte d’Assise a Cosenza, a carico di Franco Sansone e Luigi Carbone, la vicenda anzichè schiarirsi si tinge sempre più di giallo. Un mistero che ha sempre circondato il delitto è quello relativo alla distruzione dei vestiti che la povera Roberta indossava quel giorno. Una perdita davvero pesante ai fini dell’indagine, visto che con i progressi scientifici subentrati in questi anni, in particolare rispetto al Dna, si sarebbero potute apprendere moltissime cose sul delitto. La scomparsa degli indumenti della vittima da sempre ha costituito uno degli aspetti più inquietanti di questa vicenda. E non da oggi. Basti pensare che dei vestiti si iniziò a parlare nel lontano 1989. All’epoca, per la precisione in gennaio, Corrado Augias dedicò una puntata della sua fortunata trasmissione televisiva “Telefono Giallo” proprio al delitto Lanzino. La puntata si chiamava “L’ultimo viaggio di Roberta”. Era in diretta e ad un certo punto negli studi arrivò una telefonata anonima che raccontava come gli abiti della ragazza non fossero andati tutti distrutti, ma che si erano conservati maglietta e reggiseno. Un particolare che lo stesso Augias ricorderà in un’intervista a Repubblica il primo marzo del 1989 parlando dei successi della sua trasmissione che qualcuno in Rai voleva far chiudere. Ma anche questi pochi indumenti ritrovati non ebbero grande fortuna. Nel lontano 1995 l’allora parlamentare Sergio De Julio presentò un’apposita interrogazione al ministro di Grazia e Giustizia dell’epoca. L’interrogazione era molto articolata ed evidenziava una serie di lacune che presentavano le indagini. Ma un passaggio si concentrava proprio sulla scomparsa degli indumenti indossati quel giorno dalla povera Roberta. «Gli abiti della vittima (pantalone, maglietta, reggiseno, mutandine, scarpe, ecc.) – scriveva De Julio – furono dispersi dopo essere stati trovati sul luogo del delitto; soltanto due degli indumenti della vittima (maglietta e reggiseno) furono ritrovati dopo alcuni mesi ed affidati al perito nominato dal Tribunale di Cosenza, De Stefano dell’istituto di medicina legale dell’universita’ di Genova; in sede di processo d’appello De Stefano dichiaro’ di aver buttato via gli indumenti della vittima ed i reperti con l’unica incredibile giustificazione di un trasloco (peraltro mai accertato) dei laboratori dell’istituto di medicina legale e della mancanza di spazio». Possibile che De Stefano sia stato così sciatto? La risposta del Ministro fu molto generica. Intanto giovedì scorso nel corso dell’udienza che vede imputati per l’omicidio Franco Sansone e Luigi Carbone, l’ex capo della Mobile di Cosenza, Stefano Dodaro, ha raccontato un particolare poco conosciuto sulla vicenda. Ha dichiarato che gli indumenti superstiti furono distrutti su ordine della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro al termine del processo che vide poi assolti i fratelli Frangella. Non si capisce bene se l’ordine è contenuto già nella sentenza di assoluzione degli imputati o se con un’ordinanza successiva. Fatto sta che quegli abiti vennero distrutti e viene difficile capire il perchè la Corte decise la distruzione di una prova che avrebbe potuto essere decisiva.

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