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PALMI – Da oggi il processo “All Inside” che vede alla sbarra numerosi presunti esponenti della temibilissima cosca Pesce di Rosarno che si sta celebrando a Palmi entrerà nel vivo.  Dall’aula bunker del Tribunale di Palmi il collegio, i pm  Alessandra Cerreti e Giulia Pantano che rappresentano la pubblica accusa e molti legali si trasferiranno nell’aula bunker  del carcere di Rebibbia nella quale verrà sentita la testimone di giustizia Giuseppina Pesce, la giovane donna che con la sua decisione di collaborare con la giustizia sta facendo tremare numerosi esponenti della sua famiglia. E per capire quale tipo di aria di respira tra le gabbie dei detenuti in questo delicatissimo processo sono bastate le parole  che lo zio della ragazza, Giuseppe Ferraro, ha pronunciato l’altro ieri nel corso dell’ultima udienza.  

«Da lunedì che inizierete a sentire mia nipote vi consiglio di munirvi di uno psichiatra. Sì, perché a mia nipote serve lo psichiatra»  ha detto Ferraro  detenuto al regime del 41 bis. Collegato in video conferenza aveva chiesto di  fare dichiarazioni spontanee nel corso del processo.  Ferraro ha aggiunto che «tanto lo sappiamo benissimo che siamo in uno stato di polizia e che questo non è un processo giusto». 

I giudici lo hanno subito zittito. Parole quelle pronunciate dallo zio che però pesano come macigni sulla prossima deposizione di Giuseppina, una giovane mamma di appena 30 anni, figlia del boss Salvatore Pesce che ha trovato, nonostante alcune pressioni a farla ritrattare e  farle fare  marcia indietro,  la forza per confermare il suo desiderio di collaborare. 

Giuseppina venne arrestata nell’aprile del 2010 e pochi mesi dopo mandò una lettera ai magistrati  della Dda di Reggio Calabria manifestando la sua decisione di saltare il fosso. Una scelta fatta per amore verso i suoi bambini. Ha scelto di mettersi contro la sua famiglia, così come voleva fare anche Maria Concetta Cacciola. Entrambe hanno sofferto le pressioni delle famiglia. Giuseppina ha trovato il coraggio di proseguire verso la sua collaborazione, mentre Maria Concetta non ce l’ha fatta, arrivando persino a togliersi la vita ingerendo dell’acido muriatico.  E a loro e a Lea Garofalo su iniziativa del direttore Quotidiano della Calabria, Matteo Cosenza,  venne dedicata la festa della donna di quest’anno. Dopo decine di udienze e di testimoni oggi sarà la volta di Giuseppina ad essere sentita in aula, colei che ha  rotto ogni legame con quella cultura mafiosa e ‘ndranghitista che ha respirato fin da bambina e che da grande aveva persino svolto ruoli di collegamento tra i suoi parenti arrestati e l’esterno, in quella Rosarno dei palazzi dismessi e incompiuti circondati dai più belli aranceti del mondo  dove i Pesce hanno fatto per decenni il bello e il cattivo tempo. Le sue dichiarazioni potrebbero dare la mazzata finale al quadro accusatorio raccolto dagli inquirenti. Giuseppina non è che ha raccontato nei sei mesi successi alla sua collaborazione contesti non noti ai magistrati, ma li ha in qualche modo certificati. Ed adesso dovrà confermarle nel processo. Un ruolo delicato il suo e forse per questo qualcuno dei suoi parenti ha cercato di farla passare per pazza, proprio come accade ad un’altra ragazza della Piana, quella Simona Napoli che non ha esitato ad accusare la sua famiglia dell’omicidio di Fabrizio Pioli, il giovane elettrauto  del quale si era innamorata  e che sarebbe stato ucciso per sanare una forma inaccettabile del senso dell’onore.

 «Ero e sono convinta – ha scritto Giuseppina il 14 ottobre del 2010 ai magistrati – che quella di collaborare sia la scelta giusta  dal momento che per le scelte di vita di familiari e congiunti siamo sempre stati segnati da una vita piena di sofferenza e difficoltà e soprattutto mancanza di coraggio per paura delle conseguenze. Quando, invece, ognuno di noi dovrebbe avere la facoltà di fare e scegliere ciò che è giusto e sbagliato». 

«Giuseppina  riflette – dice il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Michele Prestipino nel libro “Contagio: come la ‘ndrangheta ha infestato l’Italia”, scritto insieme al procuratore Giuseppe Pignatone a cura di Gaetano Savattieri –  non nasconde  le proprie debolezze, si svela, vuole ostinatamente credere di potercela fare, nonostante la consapevolezza dei rischi e delle difficoltà cui, con la sua scelta, sta andando incontro». « Io – si legge ancora nella missiva che Giuseppina inviò ai magistrati – forse avrei dovuto farlo prima di essere trascinata in determinate situazioni, ma non ce l’ho fatta, spero, però, di essere ancora in tempo e possa farlo per i miei tre figli affinché abbiano una vita migliore e fatta di principi e libertà di scelte… ho trovato la forza di prendere una decisione così importante mettendomi contro una famiglia molto temuta e potente che difficilmente perdona sapendo quale può essere il rischio per me e per le persone che mi staranno vicino, ma alla fine l’ho fatto». «Parole – commenta ancora Prestipino –  che costituiscono la più veritiera testimonianza della sofferenza e del rischio che la scelta di collaborare comporta per questa giovane donna calabrese, ma dimostrano anche la tenace voglia di cambiare la propria vita e quella dei figli che vuole proteggere dall’infezione del virus mafioso».  

Per Giuseppina arriva dunque la prova più importante della sua vita, quella di testimoniare nel processo ascoltata sia pure in vide conferenza dai suoi parenti imputati che la seguiranno da Palmi.

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