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STIGLIANO – Produce pistacchio da oltre vent’anni, ma non tutti sanno che il suo prodotto finisce anche sul più noto mercato siciliano, precisamente a Bronte, la patria universalmente riconosciuta di questo straordinario e succulento frutto.

Innocenzo Colangelo è un imprenditore di Stigliano. La sua azienda si trova a pochi chilometri dal centro abitato, in una zona conosciuta come “Saurina”, perché attraversata dal fiume Sauro, e ospita più di 1.500 piante di pistacchio.

Il Quotidiano lo ha incontrato, cercando di ricostruire la sua bella storia umana ed imprenditoriale.

«La mia storia con il pistacchio, risale ai primi anni ’90, quando iniziai a produrlo quasi per caso. -racconta Colangelo- Ricordo bene quel giorno, quando alcuni amici vennero a trovarmi dalla Grecia. Dopo aver trascorso alcune ore a mangiare, ridere e scherzare, uno di loro mi disse: “Con tutti questi terreni a tua disposizione, perché non coltivi il pistacchio? Noi possiamo aiutarti a procurartelo”. Quella sua proposta fece scattare in me una scintilla. Per diversi giorni non facevo altro che passeggiare nei miei terreni, più calpestavo la terra, più mi chiedevo se essa fosse idonea a tale produzione. Le notti erano un tormento per me, non riuscivo a chiudere occhio, fu così che presi una decisione e mi dissi: quella pianta deve essere mia».

Nei giorni che seguirono, Innocenzo fece alcune ricerche; non conosceva nulla che riguardasse la pianta e non sapeva quale reazione potesse avere una volta innestata nel suo terreno. Provò a contattare esperti in botanica per avere maggiori informazioni, ma non ottenne nulla di concreto, tanto da passare quasi per folle. Questo perché, a sua insaputa, anche la Regione Basilicata, nella zona di Pantanello, aveva avviato da diversi anni la sperimentazione della messa in coltura del pistacchio, ottenendo scarsi risultati. Lui, però, non volle arrendersi davanti al primo ostacolo e partì alla volta della Grecia, al fine di procurarsi le piante da innestare nei suoi terreni.

«Non sapevo neanche come fosse la pianta, mai mi ero posto il problema, ero abituato a vedere solo il prodotto finito. -prosegue- Prima di partire per la Grecia, costruii un impianto d’irrigazione sotto traccia, calcolai grossomodo la distanza da una pianta all’altra e creai un gocciolatoio per ogni singola unità, senza sapere, che essa, per crescere non ha bisogno di molta acqua. Tornato in Italia, misi a dimora poco più di millecinquecento piante. All’epoca, tra il 1992 e il 1993, la mia azienda era tra le più grandi d’Europa, questo perché chi ha prodotto pistacchio fino ai primi anni del 2000, non considerava le sue enormi potenzialità, e il frutto veniva solamente salato e tostato per poi essere venduto in singole confezioni».

Grazie alla straordinaria determinazione, Innocenzo, iniziò a farsi strada in un mondo che aveva quasi sempre ignorato. I problemi però, non tardarono ad arrivare. «Quello che accadde fu qualcosa di straordinario. La pianta aveva reagito in modo eccellente al suo nuovo habitat. Provai una forte emozione quando la vidi spuntare dal sottosuolo così giovane e bella. La varietà che avevo scelto si chiama “Egina”, il suo nome deriva dal luogo dove nasce, l’isola Egina nel golfo di Atene- tuttavia, alcune piante seccarono quasi subito, avevo dimenticato la cosa più importante, e la imparai a mie spese. Per crescere doveva essere impollinata, così ogni otto femmine innestai un maschio».

Per vedere il prodotto finito, l’imprenditore lucano si armò di pazienza; infatti, il processo fu abbastanza lungo, e la pianta del pistacchio diede i primi frutti dopo circa sette anni dall’impollinazione.

Oggi questa lunga attesa è stata superata, grazie alla tecnologia, e alle continue ricerche in laboratorio, che hanno portato alla creazione di un ibrido, capace di fiorire dopo  soli tre anni. «Una volta ottenuto il frutto, mi trovai a dover risolvere due grossi problemi, uno per la raccolta e l’essiccazione, l’altro per la vendita sul mercato. Per quanto riguarda il primo, non potevo usare il metodo adottato in Turchia e in Iran».

In questi Paesi, la raccolta avviene attraverso un macchinario che divide il frutto dal mallo (la prima pelle), successivamente un nastro trasportatore lo porta in grossi contenitori all’aperto, per l’essicazione al sole.

«In Italia, il rischio di incappare in forti piogge, nel periodo della raccolta –che va da settembre ad ottobre– è maggiore, ed io non potevo sempre sfruttare l’essicazione al sole, quindi, ho dovuto ingegnarmi per arginare il problema. La raccolta è simile a quella delle olive. Sotto ogni pianta posiziono delle reti o dei teli di plastica che mi permettono di raccogliere il frutto, per farlo cadere uso invece lo scuotitoio, grazie a questo arnese, il frutto cade senza danneggiare la pianta. Il prodotto finisce poi in azienda, dove viene lavorato tramite un macchinario di mia invenzione, dotato di cilindri a rotazione lenta, questi portano il frutto in una rete abbastanza stretta, dove viene essiccato con frequenti getti di aria calda.

Il secondo problema, quello più importante dell’intera attività, era: a chi vendere. Iniziai così ad informarmi se nel territorio italiano esisteva un mercato del pistacchio, e fu così che conobbi il commercio di Bronte. Nel mese di maggio, intrapresi, dunque, un nuovo viaggio questa volta in Sicilia, dove incontrai uno dei più grandi commercianti italiani di pistacchio. Gli raccontai del mio viaggio in Grecia, della mia azienda, del mio prodotto, del bisogno di vendere per poterne produrre ancora, ma lui, non faceva altro che sorridere e ripetere che era impossibile. Così, spazientito, lo pregai di venire a Stigliano per vedere ciò che da solo avevo creato.

Passarono i mesi e giunse settembre, il periodo della raccolta. Con mio stupore quell’uomo venne a trovarmi proprio in quei giorni. Rimase colpito e assai sorpreso da quello che finalmente poté vedere con i propri occhi, e senza riuscire a voltare lo sguardo verso me, disse: “Per cinquecento anni, noi non abbiamo capito nulla”».

Il meccanismo, in Sicilia, è assai differente dall’impianto di Innocenzo. Infatti, lui ha adottato una coltivazione orizzontale, in un terreno a duecentocinquanta metri sul livello del mare, dove le piante sono ben disposte in fila, una dietro l’altra. La coltivazione siciliana è invece verticale, le piante sono sparse lungo le pendici dell’Etna, dove nasce il selvatico che viene innestato ogni anno.

 

Tutta la Basilicata  ha un terreno ideale

la Basilicata, come sa bene Innocenzo Colangelo, ha un territorio ideale per la coltivazione del pistacchio, tanto da poter esserne interamente ricoperta.

La pianta, infatti, ha una caratteristica eccezionale, è una delle poche che non và potata di anno in anno. I rami più lunghi vengono tagliati solo quando impediscono la raccolta del frutto.

Oggi il pistacchio di Innocenzo Colangelo viene venduto in diversi modi, e in differenti luoghi; una parte di esso giunge sul mercato di Bronte, dove arriva già tostato e salato, mentre, la restante parte viene lavorata direttamente nella sua azienda.

I prodotti che portano il suo marchio sono molteplici. Venduti in Basilicata, Puglia e parte della Campania, tra questi figurano: il pesto di pistacchio (ideale per un primo piatto),  la crema di pistacchio (un estratto del frutto, reso dolce nella lavorazione e pronto per essere spalmato sul pane), e per finire un semilavorato, venduto soprattutto nelle pasticcerie per farne dei gustosi gelati.

Tante ricette per un’unica grande risorsa da sfruttare.

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