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«C’è bisogno di delicatezza quando si inizia a indagare in una vita. Si comincia a chiedere a tutti di quella persona e tutti chiedono: perché?». Ma la cosa migliore dell’andare a zonzo in punta di piedi in una storia è che, in fondo, ne viene fuori un ritratto multivoce. Chi un pezzo, chi un altro.

«Se, poi, il protagonista è qualcuno come Vittorio, facile imbattersi in un’emozione così». In storie toccanti, voci rotte o sorrisi grandi mentre raccontano di quel medico musicista che «no, non lasciava indifferente nessuno».

Vittorio Camardese era così, genio discreto, consapevole del proprio talento, ma schivo per indole. Lucano, potentino, con quel tratto silenzioso del carattere, forse tipico di questa terra. Emigrato per studio a Roma, coltivò il talento musicale e quello di scienziato (sono sue alcune innovazioni nel campo della radiologia). 

Del primo fece un tesoro per chi chiedeva un’esibizione, quasi sempre privata, per gioia personale. Avrebbe potuto “diventare qualcuno”, amico e stimato dai grandi come Chet Baker, Irio De Paula, Stephane Grappelli, Lelio Luttazzi e Renzo Arbore. Dalla chitarra non si staccava mai, neanche quando, ragazzo, studiava medicina. «Sfogliava i libri con le dita dei piedi». Con le mani, invece, interagiva con le corde della chitarra come pochi altri più tardi avrebbero saputo fare. Ha sviluppato con profondità la tecnica del tapping, grazie a un rapporto simbiotico con lo strumento, facendone una forma d’arte. 

Di questa storia si stanno occupando a Potenza, ne stanno facendo un documentario. Un lavoro nato per caso, grazie a quello straordinario crocevia di storie che è la rete.

Roberto Angelini, musicista romano che con Vittorio è cresciuto, ha postato online un video di un esercizio musicale di Camardese. Lo hanno visto e subito condiviso musicisti del calibro di Guthrie Govan, Joe Satriani e Bryan May. In poco tempo il nome del musicista potentino ha fatto il giro del mondo. Così è finito nella timeline di Vania Cauzillo, giovane regista potentina che ha deciso di raccontare questa storia. Non può perdersi ora, non più. 

La squadra è lucana e da un anno è al lavoro sulla ricerca. Perché il documentario su Vittorio Camardese è soprattutto un percorso di analisi e recupero. Anche per questo hanno bisogno di sostegno: tra pochi giorni scade il crowdfunding aperto sulla piattaforma Indiegogo. Sostenere con un contributo il documentario significa anche (a seconda della quota donata) ricevere magari una copia delle lettere di Chet Baker a Vittorio Camardese o una copia dell’edizione limitata in vinile dell’home recording di Camardese, con contenuti esclusivi.

Contribuire a questo lavoro significa in fondo recuperare una relazione cittadina. Perché Vittorio Camardese è anche un pezzo di città poco conosciuta. Ed è un peccato. 

«Mi piacerebbe – spiega Cauzillo – che fosse un documentario “politico” per la Basilicata. Un talento, che sia musicale, scientifico, artistico, va sostenuto, non osannato solo quando ha raggiunto il successo. E questo in Basilicata ancora non accade». 

La storia di Vittorio Camardese è una storia che sa molto di questa terra, sa di un approccio alle cose, e di consapevolezze. «Vittorio – aggiunge – non ha rinunciato al suo talento, ha solo sempre deciso di tenerlo per sé, di non guadagnare suonando. Ma se gli chiedevano di suonare, non diceva mai di no. Che fossero grandi musicisti o gli amici di Potenza». 

«Speriamo – spiega Vittoria Smaldone, responsabile della ricerca del progetto – di recuperare un filmato del ’56. Nella trasmissione Primo Applauso, un programma con Enzo Tortora, le esibizioni venivano premiate in base alla forza dell’applauso del pubblico. Vittorio aveva portato tutti i suoi amici potentini: erano tutti lì, studenti universitari, giovani, fecero un tale casino che Vittorio vinse». 

«Non è che non avesse avuto occasioni – fa eco Cauzillo – Alcune non le ha mai volute sfruttare, qualcuna è sfuggita». Come quella volta in cui Lina Wertmuller gli propose di musicare un pezzo teatrale ispirato al caso giudiziario della saponificatrice di Correggio. In un altro caso Caprioli doveva musicare la little Italy americana e voleva assolutamente che lo facesse la chitarra di Vittorio. «Progetti che non andarono mai in porto, la sua musica non arrivò mai oltreoceano. Almeno allora». Perché, così, non oggi? Provarci, almeno. 

«Camardese è un talento lucano, che con la Basilicata ha sempre mantenuto un legame. Come tanti, con la sua città, ha sempre avuto un rapporto conflittuale». Non fronteggiava il provincialismo, la città gli stava stretta, ma ne amava i tratti, i luoghi, con un grande attaccamento di ritorno. Che poi è l’eterno rapporto del talento con le aree laterali, con questa città che non è più paese ma nemmeno metropoli. 

Questa storia va raccontata per tanti motivi. «Perché comunque si tratta di un talento che è stato riconosciuto dai più grandi in assoluto della musica internazionale. Va fatto per l’uomo e per l’artista». Per «restituire a Vittorio il posto nella storia della musica che merita di diritto». Per restituirlo alla città che ancora non sa. E è un peccato.

 

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