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COSENZA – Rifiuti tossici quali scorie radioattive occultati nel sottosuolo in provincia di Cosenza. Ne parla un pentito, il 28enne Mattia Pulicanò e le voci su questo risvolto allarmante – forse il più allarmante di tutti i business criminali – erano già filtrate dagli ambienti giudiziari alla fine dello scorso anno. Ora, però, con il deposito delle confessioni di Pulicanò agli atti di un’inchiesta antimafia in corso di svolgimento, i contorni della vicenda diventano molto più chiari. Più chiari, ma non meno inquietanti.

I rifiuti tossici, secondo il collaboratore di giustizia già spacciatore per conto del clan Lanzino, sarebbero sepolti a Lattarico, pochi chilometri da Cosenza, più precisamente nella frazione denominata Regina. A portarceli, 15 o 20 anni fa, sarebbe stato l’ormai arcinoto Cipriano Chianese, avvocato napoletano di 62 anni ritenuto organico al clan dei Casalesi. Gli inquirenti campani lo considerano come l’inventore delle “ecomafie” nonché protagonista della “Terra dei fuochi” e, proprio per vicende analoghe, l’uomo – che vanta anche trascorsi in politica – è tuttora sotto processo nella città partenopea.

I rifiuti di Lattarico, Chianese li avrebbe seppelliti con la complicità di un imprenditore cosentino “intimo” di Pulicanò. Proprio lui, nel 2012, avrebbe riferito al futuro pentito i contorni di quell’operazione di smaltimento illecito. «Interrare quei rifiuti – spiegava l’ex pusher ai magistrati a giugno del 2014 – rappresentava una contropartita agli appalti che Chianese gli aveva fatto prendere nel corso degli anni». Non a caso, le più recenti inchieste giudiziarie dipingono il legale come uomo dalle ottime entrature nel mondo politico e imprenditoriale. E in virtù di queste amicizie, sarebbe riuscito a far ottenere all’imprenditore cosentino rilevanti commesse pubbliche nel Nord Italia. In cambio, però, l’imprenditore «doveva mettere a disposizione la sua azienda per occultare rifiuti tossici».

Pulicanò sostiene di ignorare la tipologia di rifiuti in questione, ma da suo ormai ex amico avrebbe appreso che, in passato, lui «ci aveva fatto soldi a palate, poiché il settore è molto redditizio». In quel 2012, i due uomini avrebbero discusso dell’argomento perché l’imprenditore aveva intenzione di ripetere il giochetto. «Ero appena uscito dal carcere – rammenta il pentito – e lui mi ha proposto il trattamento, da parte della mia cosca, di rifiuti tossici provenienti dal Nord Italia. A riguardo, mi precisava di aver già assunto contatti con un veneto che trattava le spedizioni per conto di un gruppo di Modena che spediva rifiuti tossici in Africa. L’oggetto dell’affare era quello di far arrivare rifiuti nella zona di Lattarico dove dovevano essere interrati».

Secondo il pentito, il progetto era quello di costruire innocui capannoni agricoli e impianti fotovoltaici sui terreni prescelti, al fine di «non dare nell’occhio», dissimulando così la presenza dei veleni radioattivi. In altri casi, invece, quelle scorie erano state occultate «nelle colate di cemento». Quell’affare non andò poi in porto perché il sedicente gruppo modenese, in quel caso, non aveva in animo di trasferire rifiuti tossici, bensì “semplici” ingombranti. «Scocche di autovetture, pneumatici, batterie auto e altro. Uno stock di 20-25 container al mese difficilmente occultabili a differenza di scarti industriali, fanghi e scorie radioattive, ovviamente più remunerativi e semplici da gestire». Il cosentino collegato a Chianese, comunque, cercava l’appoggio della cosca per due buone ragioni: «Gli serviva un finanziamento e la forza lavoro in quanto, trattandosi di attività illecita, non si fidava a utilizzare i propri dipendenti».

In tutto ciò, lo stesso Pulicanò sostiene di aver sollevato obiezioni e perplessità, in virtù dei rischi per la salute che un’operazione del genere comportava. Fu allora che, «esternando tranquillità», il suo interlocutore gli avrebbe detto di averlo già fatto un ventennio prima. «In effetti ho verificato che, nella zona in questione, si sono registrati, negli anni, diversi casi di tumore».

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