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NEL 1998, la Regione Basilicata approvò una legge sulle politiche del lavoro e sui servizi per l’impiego, la n.29. All’art.3 se ne definirono gli strumenti di attuazione attuativi, prevedendo un piano del lavoro pluriennale ed i relativi piani annuali. Sono passati 15 anni e i piani sono ancora lettera morta, nonostante il lavoro sia la vera grande emergenza sociale della regione che peraltro è la punta dell’iceberg di una carenza occupazionale di natura strutturale. Sono state predisposte alcune bozze di piano, la giunta regionale ha nel 2010 ne ha approvato una a fine legislatura che il consiglio giustamente non ha preso in considerazione, non intendendo scaricare impegni sulla nuova legislatura: i piani si adottano all’inizio di una legislatura e poi si implementano in corso d’opera. In questa legislatura si è  ripartiti da zero , predisponendo l’ennesima bozza e si è incominciato a discuterla a livello tecnico, ma le elezioni anticipate hanno fatto abortire anche questo tentativo di programmazione.

Nel frattempo si è provveduto a scardinare quel poco di organizzazione che ne era di supporto, chiudendo l’ Ente lavoro Basilicata (Elba) e destinando i suoi esperti a funzioni amministrative. L’Osservatorio del mercato del lavoro è una sorta di araba fenice, nonostante le sollecitazioni a crearlo da parte della Unione europea e gli impegni sottoscritti in tale senso dalla stessa Regione Basilicata. Non disponiamo dunque degli strumenti di piano,né delle strutture organizzative di sostegno. Navighiamo a vista, con misure, come il reddito ponte per l’occupazione giovanile, che altro non sono che forme camuffate di reddito di cittadinanza per una ristretta fascia di giovani lucani. In molti casi si partecipa ai corsi di formazione per avere i 500 euro mensili fino a quando dura il corso. La disperazione fa anche questo: ci si accontenta di un modesto sussidio che fa perdere tempo al giovane, demotivandolo ulteriormente, e  si sprecano risorse della pubblica amministrazione. Si avviano azioni concertative come quella della “Basilicata obiettivo 2012”, sottoscritta dalla Giunta di Basilicata e dalle associazioni sindacali ed imprenditoriali che non hanno affrontato i nodi del mercato del lavoro regionale, limitandosi a recepire impostazioni nazionali sugli incentivi alle imprese che vogliono assumere, ritenendo che la questione lavoro si possa risolvere a tavolino.

Da tale scenario emergono alcuni quesiti che, ci si augura, la prossima consiliatura vorrà porsi, dandosi risposte adeguate:

1) Entro 6 mesi si potrà disporre finalmente di un piano pluriennale per il lavoro e di un osservatorio del mercato del lavoro?

2) Sarà possibile fare il punto in tempi brevi ( un anno massimo) sugli effetti delle politiche per l’occupazione fin qui realizzate, per individuarne le criticità ed apportare i correttivi da introdurre nei piani annuali?

3) Si riuscirà a raccordare finalmente i vari fondi europei, nazionali e regionali in un organico progetto di sviluppo socioeconomico, propedeutico al piano del lavoro? sarà possibile organizzare razionalmente i servizi per l’impiego, mettendo in sinergia il pubblico col privato?

E’ di tutta evidenza che occorrerà sporcarsi le mani. Si può continuare a far finta di niente nel  lavoro sommerso che in Basilicata raggiunge livelli altissimi con al primo posto l’industria in senso stretto, dove si attesta al 37% e che riguarda settori maturi a bassa tecnologia, sapendo che viene alimentato ampiamente dal bacino dei lavoratori beneficiari degli ammortizzatori sociali? Certo il sommerso deriva prevalentemente da una pressione fiscale e contributiva spesso insostenibile, ma attiene ad attività in molti casi incapaci di competere e dunque senza futuro. Per far emergere il sommerso, quello per intenderci con buone potenzialità, non basta una legge, occorre intervenire sulle sue cause primordiali ( elevata tassazione per le imprese e cuneo fiscale) che riguardano politiche nazionali, ma  la regione può e deve fare la sua parte occorre prosciugando il bacino da cui l’impresa attinge prevalentemente, alimentato dal welfare. Non c’è dubbio che vi sono degenerazioni nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali che investe molti furbi e molti sprechi nelle attività gestite dalla Regione Basilicata (esempio classico: la forestazione produttiva, si fa per dire).   Essere più stringenti nel verificare la reale ricerca di lavoro dei beneficiari del sussidio, impiegarli in attesa di un impiego stabile  in lavori servizi socialmente utili ,affidare allo Stato ed alle sue articolazioni territoriali (regioni, comuni, ecc.), come “datori di ultima istanza, il compito di   utilizzare i lavoratori più anziani mi sembrano le strade più percorribili per mettere ordine a tale contesto lavorativo.  In passato alcune di tali interventi hanno trovato attuazione, ma il tutto si è svolto  con modalità e precarietà organizzative  che ne hanno compromesso i risultati. Occorre definire bene gli obiettivi, le strategie da seguire, il monitoraggio e la valutazione degli effetti conseguiti, i servizi per l’impiego, di cui avvalersi, tutte questioni che richiedono cambiamenti di mentalità a tutti i livelli, una nuova antropologia istituzionale e lavorativa

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