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POTENZA – Con l’audizione davanti al Consiglio giudiziario del procuratore Celestina Gravina il giro di “consultazioni” sembra chiuso. Manca solo il parere finale sul rinnovo del suo incarico nella città dei Sassi. Poi la parola passerà al Csm, per la decisione definitiva.
E’ attesa a breve la discussione nell’organo di autogoverno dei magistrati lucani sul “caso Matera”.
Nelle scorse settimane sono stati diverse le toghe sfilate nel Palazzo di giustizia di Potenza. Sia giudici che avvocati. Per provare a tracciare il bilancio dell’attività degli uffici requirenti materani negli ultimi 4 anni. Un bilancio tra luci e ombre, su cui pesano i contrasti con i colleghi della Direzione distrettuale antimafia di Potenza, prima, e della superprocura guidata da Franco Roberti, poi. Contrasto su metodi investigativi e mancate segnalazioni, finito al centro anche della visita della Commissione bicamerale antimafia arrivata a Matera la scorsa primavera.
Di qui l’esigenza di un approfondimento da parte del Csm, attraverso il Consiglio giudiziario, per valutare la conferma dell’incarico alla Gravina. Inclusa l’audizione del diretto interessato, che di fronte ai colleghi ha dovuto spiegare le sue ragioni.
Sullo sfondo ci sono sempre gli incendi, i danneggiamenti e gli episodi di intimidazione che negli anni scorsi hanno colpito soprattutto le aziende del metapontino. Un fenomeno che ha visto un’impennata tra il 2011 e il 2012, e di recente sembra essersi affievolito. Per quanto ad oggi non ne risultino individuati i responsabili.
Tra luglio del 2013 e agosto del 2014 gli investigatori della Dia di Bari hanno messo in fila una trentina di casi sospetti . Motivo per cui l’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia è tornata ad occuparsene, evidenziando la loro «ininterrotta ripetitività» e la «circoscritta localizzazione territoriale». Elementi che «sembrano smentire l’occasionalità degli episodi e la validità del metodo investigativo sino ad oggi utilizzato».
Sui contrasti la superprocura di Roberti parla di «un’annosa querelle». Risolta solo in parte dal summit convocato nei mesi scorsi a Potenza tra inquirenti e forze dell’ordine.
Da allora sarebbe «sicuramente migliorato lo scambio informativo» sui fatti d’interesse dell’antimafia che avvengono in regione. Annotano Francesco Mandoi ed Elisabetta Pugliese, raccogliendo le parole di soddisfazione del procuratore di Potenza Luigi Gay.
Ma da parte della Procura di Matera i silenzi resterebbero ancora troppi, in violazione dei protocolli approvati tempo addietro. Come nel caso degli arresti effettuati a giugno per tentata estorsione, armi ed esplosivi ai danni del titolare della sala ricevimenti “Giardini della Corte” di Matera. Per cui «la gravità dei fatti occorsi avrebbe dovuto consigliare una informazione preventiva e non postuma alla Dda di Potenza».
La Direzione nazionale antimafia spiegava con una certa frustrazione che «un corretto approccio all’analisi dei fenomeni criminali del distretto, impone una trattazione diversificata con riferimento alle diverse parti del territorio e, in particolare, all’area potentina e a quella materana; vuoi per indubbie differenziazioni delle caratteristiche della criminalità nelle rispettive aree, vuoi per un atteggiamento, tuttora differente, delle procure territoriali rispetto alla lettura dei fatti di criminalità ivi occorsi».
Il risultato è che «inquietanti e non ancora decifrabili appaiono gli ulteriori e gravi episodi di intimidazione e danneggiamento perpetrati ai danni di aziende esercenti attività commerciali e produttive, che si ripetono da anni nella fascia costiera del Materano».
«Come già accennato – insistevano Roberti e i suoi magistrati – l’attività investigativa frammentaria e parcellizzata di singoli episodi – spesso arrestatasi alle più immediate e presumibili motivazioni di taluni di essi – non ha giovato ad una lettura unitaria che – sia pure con il pregiudizievole ritardo attribuibile al carente scambio informativo con la procura della Repubblica di Matera – la Dda sta cercando di fare, sulla base di una ricostruzione avanzata in una informativa della Questura di Potenza».
Di diverso tenore, l’ultima “Relazione sull’attività delle forze di polizia” inviata in Parlamento dal Ministro dell’interno Alfano. Dove da un lato si dice che «l’area jonica, oltre che terra di transito, sembra essere diventata “terra di conquista”» per gruppi criminali di fuori regione impegnati nei «furti in appartamenti, in aziende agricole e masserie incustodite perlopiù dislocate nelle isolate lande». E si aggiunge che «non emergono segnali di riconducibilità alla criminalità organizzata (ex articolo 416 bis) di fatti ed eventi delittuosi in quanto non si registrano dinamiche legate alla presenza di clan di stampo mafioso». Quindi si limitano le attività delinquenziali registrate «allo spaccio degli stupefacenti, alle estorsioni di media rilevanza e al gioco d’azzardo».
Salvo dedicare subito dopo un’ampio e dettagliato approfondimento sulle dinamiche interne e gli affari di diversi «clan», coi rispettivi «boss» più o meno emergenti. E un riferimento importante a un’inchiesta della polizia di Matera su una presunta «scissione del clan “Mitidieri”». Per cui risultano indagate 52 persone «facenti parte di due distinti gruppi criminali, (…) entrambi organizzati e operanti secondo tipiche condotte mafiose».
Una contraddizione evidente, che disorienterebbe chiunque, e sembra proprio il riflesso della diversità di vedute tra gli uffici giudiziari lucani.

l.amato@luedi.it

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