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SINDACALISTI, industriali, magistrati. E poi: giornalisti, registi, ambientalisti. E ancora: banchieri, costituzionalisti, burocrati. Eccoli i veri padroni della sinistra: quelli che da decenni, ormai, la tengono incatenata e le impediscono, come nel mito platonico della caverna, di vedere la realtà. Sono loro che non le permettono di crescere e di trasformarsi in una forza politica moderna: capace cioè di interpretare i fenomeni sociali in corso e di orientare in senso davvero progressista il suo elettorato. E’ colpa loro se la sinistra, fin dai tempi di Berlinguer, non si espande nel corpo vivo della società (e resta inchiodata al suo limite storico di dodici milioni di voti); se, anzi, ha dovuto cedere quote del suo tradizionale elettorato alla destra non riuscendo, nel frattempo, a intercettare il consenso di nuovi soggetti (dai precari ai disoccupati, dai piccoli imprenditori al popolo delle partite iva); e se, infine, il Partito democratico è diventato il partito della conservazione.

Parte da tutto questo – anzi: contro tutto questo -, la scommessa di Matteo Renzi, leader del partito e da quasi tre mesi capo del Governo. A sentire Claudio Cerasa, redattore capo e commentatore politico del Foglio (autore di un libro che ha per titolo, appunto, “La catene della sinistra”), con il giovane politico fiorentino il Partito democratico si gioca l’ultima carta utile per rientrare in gioco rinnovandosi radicalmente. Ma puo farlo, ecco la tesi del giornalista, soltanto recidendo quei legami, e sottraendosi all’abbraccio mortale di chi, nascondendosi dietro slogan pseudo-progressisti, punta a una sola cosa: difendere lo status quo. E’ ammissibile, è la domanda che scorre in filigrana lungo tutto il libro, che in un mondo nel quale tutto cambia il Pd se ne resti fermo, intestardendosi nella difesa di prerogative e interessi che fanno capo a un mondo che non c’è più? No. Il Pd deve smetterla di essere un partito dipendente e diventare finalmente adulto. Deve sapersi assumere le proprie responsabilità. Deve imparare a decidere: rischiando in proprio, se necessario.

Non è un caso se Cerasa, a proposito della dipendenza del Pd dai fantasmi agitati dai suoi padroni, ricorra all’immagine delle stampelle e, ancora più, delle mammelle da latte. Magistrati, sindacalisti, editorialisti e tutti gli altri di cui si parlava all’inizio sono stati per il partito altrettanti seni da mungere. Seni ormai avvizziti. “E’ la storia della sinistra eternamente minoritaria – spiega Cerasa -. La storia della sinistra che prova invano ad attingere ad alcune fonti magiche prive di sostanze utili a nutrire il proprio corpo. Della sinistra che si attacca al seno vuoto dell’antiberlusconismo senza essere in grado di trasformare la propria opposizione al cavaliere in un alimento utile per crescere e conquistare il Paese. Che si attacca al seno sterile dello statalismo, del dirigismo, dell’antiliberismo. Che alleva i suoi elettori con una buona dose di populismo, e alle elezioni si lamenta e  si stupisce se gli elettori venuti su a suon di poulismo scelgono di votare per i movimenti più populisti…”. 

Una metafora, quella scelta da Cerasa, che involontariamente finisce per suggerire una lettura psicoanalitica della sinistra e, assieme, del complesso intreccio che  lega il Pd al partito padre, il Pci. D’altra parte, come spiega bene il giornalista, molti tic dell’attuale sinistra costituiscono il riflesso malato di traumi antichi (vedi il rapporto con i magistrati nato negli anni Sessanta e irrobustitosi nel corso della lotta al terrorismo). Sicché, a voler andare alle origini delle cause che impediscono al Pd di emanciparsi, si rischia ad ogni passo di imbattersi nel fantasma di quello straordinario partito che, per vie oscure, pare condizionare tuttora la psicologia e l’azione di una parte non piccola della sinistra e del suo vecchio elettorato. Ma non era questo, per fortuna, l’intento di Cerasa che, anzi, si limita a ricostruire con la maggiore obiettività possibile i passaggi storici (attraverso documenti e testimonianze preziose) utili a individuare e rimuovere gli ostacoli – le catene, appunto – che tuttora intralciano il cammino del partito. Un partito che potrà essere rifondato soltanto da chi a quella storia è estraneo per età, cultura ed estrazione politica. Come Renzi, appunto.

 

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