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POTENZA – Appena maggiorenne ha lasciato Bernalda per la periferia sud di Torino. Un anno dopo, a marzo del 1971, sul suo conto era già aperto un fascicolo per 2 rapine in banca e un furto d’auto. I suoi colpi miliardari con le armi in pugno, le più grosse e pericolose in circolazione, senza aver mai sparato un proiettile, gli sono valsi il soprannome di “solista del kalashnikov” sulla scorta di quello del “mitra”, che era il milanese Luciano Lutring. E ora proprio come lui anche Pancrazio Chiruzzi sta per diventare il protagonista di un film.

A meno di cambiamenti in corso d’opera dovrebbe chiamarsi “Mirada criminal”, ovvero “sguardo criminale” il documentario sulla vita e le scorribande del 60enne lucano trapiantato nella periferia a est del capoluogo piemontese. Le riprese sono iniziate a gennaio e il regista Daniele Agostini ha già preso di mira location in mezza Europa inseguendo la scia dei colpi messi a segno dal Chiruzzi.

Agostini è stato già autore di “Guerrillas”, la ricostruzione filmata della vita del comandante Zero (leader della guerriglia sandinista in Nicaragua). Con lui come addetta di produzione collabora anche Barbara Redini. Ma l’idea di un film sul “solista” di Bernalda è stata dell’attore piemontese Sergio Troiano, volto noto della serie tv CentoVetrine. «Mi sono sempre chiesto come mai sono stati fatti film e telefilm su personaggi come Vallanzasca o come i gangster della banda della Magliana e nulla su uno come Chiruzzi, torinese come Cavallero, che per gli addetti ai lavori è una star delle rapine in grado di organizzare assalti fantasiosi alle banche svizzere, francesi e tedesche». Così Troiano a Meo Ponte di Repubblica che da Torino ha lanciato la notizia scatenando l’indignazione dei familiari di Amedeo Damiano e del consiglio comunale di Saluzzo.

Chiruzzi infatti, dopo oltre 40 anni di reclusione, ad aprile del 2012 è tornato in libertà per effetto della condizionale, mentre gli restavano da scontare pene per almeno altri 10 anni. Tra le ultime condanne in ordine di tempo nel 2005 era arrivata quella a 15 anni per l’omicidio di Damiano, presidente della Ussl del piccolo centro in provincia di Cuneo. Omicidio preterintenzionale, secondo i giudici della massima corte, che hanno convalidato la tesi per cui Chiruzzi nel 1987 avrebbe fatto da intermediario tra i due esecutori materiali della gambizzazione andata male, e i suoi misteriosi mandanti. Gli stessi che lui ha sempre rifiutato di rivelare dichiarandosi innocente fino all’ultimo come continua a fare ancora oggi.

Ma le rapine no. I colpi che gli sono costati una vita dietro le sbarre se può li rivendica, e se non può ne parla lo stesso come un professore dalla cattedra. D’altronde non è stato «un semplice rapinatore ma il maestro dei rapinatori torinesi». A detta persino dell’ex capo della squadra mobile di Torino Sergio Molino. «Chiruzzi ha fatto scuola. Preparava i colpi meticolosamente, non ha mai sparato durante le sue azioni. Possiamo dire che nel ramo è stato un vero professionista». Così nel 2006 commentando con Niccolò Zancan di Repubblica il maxi-sequestro effettuato sui beni di quello che ad ogni buon conto può essere considerato il lucano più ricco del Piemonte.

In totale si tratta di 8 milioni e mezzo di euro divisi tra undici appartamenti restaurati e dati in affitto, due magazzini, un’enoteca, un negozio di materassi, un appartamento a Nichelino, tre fabbricati rurali, auto, soldi, libretti, orologi, monili e una villa a Cavagnolo. Tutti beni che gli sono stati restituiti nel 2008 quando gli inquirenti hanno dovuto mollare la presa nonostante la convinzione che si tratti del bottino delle sue rapine ripulito e reinvestito in attività legali. Chiruzzi invece sostiene che appartenevano alla sua famiglia già dagli anni ‘60. Quando il padre faceva l’autotrasportatore e lui girava ancora coi calzoni corti per le strade soleggiate di Bernalda, un piccolo paese della Basilicata, che ha dato i natali alla più importante famiglia di cineasti italo-americani e a un personaggio che in un film di Francis Ford Coppola non sfigurerebbe per niente.  

l.amato@luedi.it

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