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ITALO Cucci non ha bisogno di presentazioni. Pur essendo un giornalista sportivo (Guerin sportivo, lo Stadio, Il Corriere dello sport-Stadio e il Quotidiano Nazionale, solo per citare alcune delle sue collaborazioni o direzioni), il suo è un volto assai noto a tutti. Anche a quelli che di sport ne masticano poco.
Nei giorni scorsi l’Ordine dei giornalisti, in collaborazione con il ForMedia Basilicata, ha organizzato uno dei suoi corsi di formazione. Italo Cucci ne è stato – insieme a Marco Civoli – il protagonista. E ha parlato di un tema che, su queste pagine, stiamo affrontando da circa un mese, da quando cioè la strage alla redazione parigina di Charlie Hebdo ha reso necessaria anche una riflessione su quello che era il mestiere più bello del mondo.

Direttore, cosa sta accadendo a questo mestiere, perchè noi giornalisti siamo sempre più in difficoltà economiche mentre attorno il clima d’odio nei confronti della “casta” continua ad aumentare?

«C’è un tentativo quotidiano di ammazzare questo mestiere. Io posso parlare per il mio settore, lo sport, e posso tranquillamente dire che il problema principale in questo momento è che al giornalista non viene permesso più di lavorare. Il giornalista non riesce più ad espletare la sua attività, che è quella di seguire i giocatori anche sul campo, di commentare e di dare consigli. Oggi ci sono gli uffici stampa delle squadre di calcio che ti impongono con chi parlare, tu non puoi scegliere. Così cosa succede? Succede che escono fuori cose tutte uguali, è inevitabile quando al giornalista togli la fantasia e la curiosità. E l’appiattimento totale porta alla lunga a una perdita di copie. Perdita di copie che negli ultimi anni si è fatta davvero molto preoccupante. Nel 1911 i giornali vendevano 6 milioni di copie, oggi le vendite sono più che dimezzate. E non risolvono i problemi neppure i cosiddetti “panini”: immediatamente crei un danno a uno dei due editori e quando finisce il panino le vendite diminuiscono».

Quando è iniziata questa deriva? Quando si è perso anche il rapporto di fiducia tra giornalista e lettore?

«Il pesce puzza sempre dalla testa e i guai cominciano nel momento in cui si inizia a perdere fiducia nella proprietà delle grandi aziende editoriali. Il giornale, in questo modo, perde credibilità. E si trova in mezzo i giornalisti che, infatti, vengono ormai costantemente vilipesi e insultati senza che nessuno dica una sola parola in loro difesa. Ricordo che quando José Mourinho, allora allenatore dell’Inter, insultò un giornalista, non ci fu nessuno pronto a dire una parola, men che meno il suo giornale o editore. E oramai succede sempre più spesso. E anche questo poi contribuisce a far perdere forza alla categoria. Un tempo il lettore sceglieva il giornale come fosse il proprio cavaliere. Ma quello che si fa oggi, invece, è togliere forza».

Giornalismo in crisi anche (e soprattutto) economica. Quali sono le risposte che finora sono state date?

«Aumentare il prezzo del giornale. Ora ci sono giornali che costano 1 euro e 50 centesimi. Ma scherziamo? Sono le 3.000 lire di un tempo. E questa è una soluzione? La verità è che si stanno facendo scelte sbagliatissime: il costo del giornale ma anche la politica di prepensionamento delle grandi firme è una scelta assurda. Non puoi mandare via le persone scegliendo come metodo l’età. Anche per questo perdi copie. Non puoi mandare a casa chi ha l’autorevolezza riconosciuta dal lettore, persone valide, con esperienza e grandi capacità che vengono valutate solo in termini di costo ed età. Gli editori si sono dimenticati di fare il giornale. Con i pre pensionamenti sono state eliminate tutte le grandi firme. Va bene, largo ai giovani, ma non è questo il modo giusto. L’idea sembra essere quella di voler fare il giornale senza i giornalisti».

E le nuove tecnologie hanno un peso in questa perdita costante di copie?

«No, io non credo che questo sia il problema. I social network al massimo limitano i lettori giovani, ma la carta stampata tra gli anziani è ancora predominante. Solo che dei lettori anziani ci si dimentica. Personalmente non credo ai giornali sul web. C’è un’autorevolezza della carta stampata che, però ora è messa a dura prova: per la stessa notizia io leggo dieci diverse interpretazioni. Però la carta può morire solo se qualcuno la uccide. E il futuro del mestiere più bello del mondo è ora nelle nostre mani».

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