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In quei giorni delle macerie, della paura e della rabbia io c’ero. Nelle zone del terremoto, da Balvano a Lioni, da Conza a Sant’Angelo dei Lombardi, vi rimasi per quaranta giorni, a partire dal 24 novembre del 1980.

Vissi quella grande tragedia come inviato speciale de Il Mattino, il cui direttore Roberto Ciuni aveva presidiato, con quaranta giornalisti, l’intera area del disastro.

La prima sensazione che ebbi, quando nei primi giorni del disastro  Pertini, in piazza San Rocco, lanciò il forte monito  destinato a dare un’accelerazione alla sonnolenta macchina dei soccorsi, fu quella che mai e poi mai l’Irpinia e la Basilicata avrebbero potuto rialzare la testa. Troppi i morti, molti gli esponenti di una classe dirigente finiti sotto le macerie, lunare il paesaggio senza più strade, senza più case.

In quei terribili novanta secondi tutto veniva cancellato, ma certamente non l’identità di popoli figli di una civiltà contadina, abituati al duro lavoro e ai grandi sacrifici. Proprio come è la gente del Sud.

Quelli furono i giorni della grande solidarietà, dei volontari dai cento dialetti, dai linguaggi stranieri più diversi che si ritrovarono a scavare con le mani nude per recuperare, quasi sempre con la speranza che lentamente moriva, i corpi di uomini e donne, bambini e anziani senza più vita.

Circa tremila morti in un fazzoletto di terra grande quando il Belgio rappresentavano plasticamente il disastro di due regioni confinanti, l’Irpinia e la Basilicata.

Ma con il passare dei giorni, come sempre accade, cominciò ad infuriare la polemica.

L’Unità titolava “De Mita si è arricchito con il terremoto” e giù a colpire i politici del Sud che avevano fatto sperpero dei fondi per la ricostruzione e lo sviluppo.

Nasceva allora il “caso Irpinia” come Belpietro  ricorda oggi nel suo editoriale su Libero in un reportage molto discutibile per la qualità delle notizie. . Intanto il terremoto non fu solo dell’Irpinia che vi contribuì con migliaia di morti. Il vero terremoto, dal punto di vista della distribuzione delle risorse, fu a Napoli. Qui, per un patto scellerato ben condensato nel titolo ottavo della legge 219, come ebbe a denunciare l’allora ministro per il Mezzogiorno, Salverino De Vito, autore della legge di ricostruzione e sviluppo,  furono deviati fior di milioni milioni sotratti all’Irpinia, al Salernitano e alla Basilicata.

Di questo nel reportage di Libero non v’è traccia da nessuna parte se non nel monito di un altro grande meridionalista, Manlio Rossi Doria, allora eletto senatore nel collegio dell’Alta Irpinia, che aveva ammonito le classi dirigenti a non confondere la disastrosa situazione delle case vecchie di Napoli con il terremoto e a pensare, invece, ad una legge speciale per Napoli. 

Non accadde così e Napoli rubò i fondi del terremoto. Con essi certamente si sarebbe potuta completare l’opera di ricostruzione e sviluppo.

Ma dietro a quello che fu definito lo “scandalo” Irpinia” c’era dell’altro. Non è mai stato provato, ma pur tuttavia molto spesso accennato, che la macchina del fango era stata azionata da potenti lobbies della Dc, guidate da  Andreotti, il divo Giulio, che con De Mita non aveva certo un buon feeling.

Solo dicerie? Certo che per il leader di Nusco, segretario della Dc per otto anni e presidente del Consiglio dei ministri, quelli furono giorni di grandissima tensione.,

Ma veniamo nel merito. Che cosa è veramente è stato  il terremoto del 1980 in Campania e Basilicata e, soprattutto, nelle zone interne?

Certo non sono mancati episodi di sciacallaggio, di ruberie di stracci, di episodi condannabili, ma paragonare tutto questo allo scandalo del Mose o a quello dell’Expo non solo è ingeneroso, ma non ha alcun raffronto in termini di sprechi. Intanto il fallimento che si è registrato in alcune aree industriali del cratere va ascritto a quegli imprenditori del Nord che dopo aver trasferito al Sud macchinari obsoleti, hanno rapinato il gruzzolo di fondi per poi chiudere con catenacci ormai erosi dalla ruggine le fabbriche che avrebbero dovuto creare occupazione e sviluppo. Ma poi , ed è questo il dato a mio avviso rilevante, con i fondi del terremoto si è data giustizia ad una parte del Sud da sempre penalizzata e tenuta in scarsa considerazione. Altro che tangenti del Mose e dell’Expo. E’ stato restituito solo il maltolto in un secolo di abbandono.

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