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PESCOPAGANO – Straordinario rinvenimento tra i ruderi della Chiesa Madre di Pescopagano.
Da secoli incastonata nella muratura dell’antichissimo tempio religioso, gravemente danneggiato dal sisma del novembre 1980, ma tragicamente distrutto dalle demolizioni indiscriminate dei mesi successivi, e mai più ricostruito, è clamorosamente riemersa alla memoria collettiva una delle rarissime – se non l’unica – testimonianza scritta del periodo che ha visto l’alternarsi sui territori lucani e pugliesi delle dominazioni bizantine e longobarde.
Autore del rinvenimento, che ne ha dato la notizia, è l’avv. Camillo Naborre, cultore di storia locale, studioso e ricercatore di memorie e testimonianze del passato e Presidente della Fondazione Girolamo Orlando.
Del periodo successivo al VII secolo ci è stata tramandata una testimonianza lapidea di fondamentale importanza.
Si tratta di una pietra squadrata di favaccino locale, collocata all’interno della chiesa madre di Santa Maria de Serris, subito dopo l’ingresso principale sulla sinistra, murata nel muro portante e miracolosamente scampata alla barbara demolizione effettuata dopo il terremoto dell’80
I caratteri sono ancora leggibili e la iscrizione è complessivamente ben conservata.
Essa ha un valore notevole sul piano storico, perchè conferma da una parte che il sito di Santa Maria era adibito ad ospitare attività di culto fin da tempi assai remoti, confermando la tesi del Laviano che addirittura fa risalire l’insediamento al periodo osco.
Ma certifica, in maniera clamorosa, anche che su queste giogaie appenniniche il culto cristiano era già ampiamente diffuso ben prima della elevazione a sede vescovile, avvenuta nel IX secolo, di Conza
Sotto altro aspetto, nel mentre si conferma la bontà e la autenticità della interpretazione degli storici che vogliono Pescopagano, nel 555 d.C., come luogo dell’ultimo riparo dei goti in guerra con i bizantini, rende conto altresì del fatto che in periodo gotico-bizantino esistesse già un centro urbano importante, con luoghi di culto ornati da iscrizioni in pietra, e, quindi, già sufficientemente evoluto ed articolato
La iscrizione dell’ignoto lapicida è riconducibile ad epoca bizantina, ovvero a quel periodo della dominazione longobarda nella quale l’uso dell’idioma latino era contemporaneo e contestuale a quello greco.
Il testo, agevolmente intelligibile, è il seguente: «+ Enesi + Phestesi + theos + pater + is- + schyros +»
Appare agevole ritenere che si tratti di un’iscrizione greca traslitterata con caratteri latini.
Il testo completo potrebbe essere il seguente: «+ ainesis + apheseos» ovvero: «sia lode e ringraziamento per la liberazione (dai peccati)». Circa il suo significato, azzardiamo una ipotesi secondo la quale si tratta di una invocazione a dio padre in segno di ringraziamento perchè con la sua forza ha liberato la comunità locale consacrata a Dio.
E ciò in una duplice direzione: nella più classica ed aderente al dato letterale, e cioè la liberazione dai peccati, la remissione dei peccati. Oppure nella più azzardata e per qualche verso fantasiosa, e cioè la liberazione dai nemici, e quindi dai goti, per cui è possibile, quindi, che si possa riferire proprio al successo che l’esercito imperiale greco agli ordini di Narsete aveva riportato sui goti di Tartaro Ragnari, per cui i greci, per ringraziare dio del successo conseguito, avevano edificato un elegante luogo di culto su una struttura pagana precedente, del quale è giunta fino a noi la sola iscrizione in parola, dando però l’avvio ad una frequentazione del luogo a fini cultuali che sarebbe proseguita fino al XIX secolo.

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