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DOMENICA 7 giugno, un serpeggiare di bandiere sventolanti, di mani, di volti, di zaini e di bambini a cavalcioni ha percorso i suggestivi boschi di querce che conducono a Montegrosso, a ridosso del capoluogo.
Non conoscevo questo luogo così inaspettato… Eppure frequento da anni le montagne lucane, da escursionista e da semplice essere vivente che sente, nel respiro dei boschi e della terra che ci circondano, l’energia della vita; forse perché ho rinunciato a sperare di vivere luoghi di bellezza in una città distrutta dalle orde del cemento e del malaffare.
Perciò, incamminandomi verso la montagna dalla zona artigianale del Basento, in prossimità di Bucaletto – un’area degradata e ampiamente compromessa dai veleni mortiferi della Ferriera – non avrei mai immaginato, dopo aver incontrato quella che è stata la discarica della città, di ritrovarmi tra alberi di roverelle e distese di prati, così vicini alla città di Potenza.
La strada si snoda in tornanti su un versante aperto che guarda quello della città, quindi si restringe e si arrampica addentrandosi nel bosco, fino a restringersi in una stradina, un tempo di certo sterrata. Una fila interminabile di auto parcheggiate addossate lungo un lato del sentiero, segnala che l’area del permesso di esplorazione idrocarburi, concesso alla multinazionale inglese Rockhopper Exploration Plc, è vicina.
Ed ecco il vociare appassionato e accogliente, e sventoli variopinti di insegne e bandiere, e un megafono che ospita voci che cambiano e si alternato, ma una sola voce contro la devastazione già in atto in un luogo magico e sacro.
Il cancello e la recinzione, apposti intorno all’area di concessione, si impongono e disturbano come una presenza aliena e indesiderata: un atto di violenza all’ecosistema foresta, che non può trovare né giustificazione né legittimazione in alcuna legge o provvedimento di indifferibilità e urgenza.
La storia di questi ultimi vent’anni in Basilicata è una storia di depredazioni, occupazioni e violenze, mascherate da legittimità istituzionale; ma nessun procedimento amministrativo, nessuna legge fatta da uomini possono legittimare gli scempi ecologici, sociali e culturali che si stanno compiendo in questa terra, tanto meno mediante leggi emanate da un governo incostituzionale e da classi politiche e dirigenti, anche locali, governate dai diktat delle società e industrie multinazionali.
Non si può continuare a riconoscere come democratico uno stato, supportato dai governi locali, che impone scelte autoritarie, solo perché preferisce servirsi di leggi illegittime, piuttosto che scoprire il vero volto che ha acquisito nel corso degli ultimi decenni: un volto di repressione, di malaffare e di arroganza, anche un volto militarista!
Quando le aggressioni ai territori erano attuate mediante eserciti armati, le comunità riconoscevano tali aggressioni come criminali e mortali, si organizzavano ed esercitavano il diritto naturale di legittima difesa e di lotta per la sopravvivenza. Oggi si stanno ripetendo, un po’ dovunque, anche in Italia anche in Basilicata, le consuete aggressioni che conosciamo dalla storia: aggressioni per il potere, per il dominio e il possesso di terre e di risorse, da sfruttare e utilizzare per arricchire una ristretta élite. Nulla a che vedere, dunque, con la Costituzione Repubblicana, tanto falsamente celebrata il 2 giugno, o con quella dell’Ecuador e della Bolivia, che riconoscono persino i diritti di natura, come sacri e inviolabili.
Di fronte a tali mistificazioni epistemologiche bisogna, prima di tutto, riconsegnare ai termini e al linguaggio un significato appropriato e aggiornato alle condizioni attuali, nelle quali il capitalismo, assoggettando alla sue religione politica ed economia, si è evoluto in una forma più che mai totalitaria e aggressiva, repressiva e predatrice.
Dunque criminale non è solo un’azione violenta e cruenta compiuta da individui; criminale è ogni forma di aggressione ai territori e alle comunità, pur se mascherata da pseudo-legittimità istituzionali e giuridiche, che provochi danni irreparabili alla salute degli ecosistemi e delle comunità locali, e che neghi un futuro ai sistemi viventi (persone, animali, piante).
Terrorista non è solo un individuo o un gruppo che compie attentati in nome di un’ideologia politica o di un dogma religioso: terrorista è anche un’istituzione o un governo che utilizza lo strumento della guerra e della repressione per controllare risorse e depredare materie prime e fonti energetiche; terrorista è anche un’industria multinazionale che, utilizzando le menzogne dello sviluppo e del lavoro, occupa militarmente i territori, come sta accadendo in Basilicata, depredando beni e patrimoni comuni e portando inquinamento, degrado, malattie e morte.
I criminali un tempo si riconoscevano a vista dall’aspetto, dai modi e dall’armamento e si imparava a difendersi. Oggi i criminali sono mascherati in giacca e cravatta, hanno modi cortesi e suadenti (a volte) e sono armati di carte, permessi e normative sapientemente costruite su misura …
Quando percorro le nostre montagne e ascolto il respiro antico e paziente dei pini loricati millenari e delle querce e delle faggete, sento il loro grido di dolore e le loro voci silenziose che ammoniscono e chiedono aiuto, perché è in gioco la loro e la nostra sopravvivenza. E mi chiedo se un qualsiasi governante o politico di passaggio, dallo sguardo idiota e avido, possa avere il diritto di decidere della sorte di montagne millenarie o delle vite, delle culture, dei racconti e dei sogni delle comunità. Mi chiedo se qualche rozzo manager o qualche anonimo gruppo di potenti, che nascondono la propria rozzezza culturale e la propria barbarie criminale dentro abiti lussuosi, possa programmare le nostre vite e quelle del pianeta e, con spregiudicata follia, deliberare, in qualche Resort super lusso a Dubai, o in qualche comoda stanza in Basilicata, la nostra distruzione.
Che si chiami Legge Sblocca Italia o TTIP (Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti), si tratta della medesima strategia autoritaria (e sottolineo “criminale”) che mira a spogliare di qualsiasi sovranità i popoli e le comunità e a privarli della loro autonomia e biodiversità culturale, politica, economica, alimentare ed energetica. E’ un progetto folle e totalitario che va arrestato a ogni costo e con ogni mezzo, perché è in gioco il futuro dei nostri territori, delle comunità e del vivente.
In questa situazione, che rappresenta la reale emergenza, locale e globale, non c’è più tempo per dichiarazioni e impegni generici e attendisti. La Chiesa, ad esempio, se vuole essere davvero credibile, non può più nascondersi dietro la promessa di salvezza che verrà o continuare in tiepidi ammonimenti e incitamenti alla pace e all’equità: vanno denunciati i responsabili di questa crisi epocale, chiamandoli per nome e, maledicendoli, come Padre Alex Zanotelli maledice i predatori dell’acqua e dei ben comuni; ora e in questa vita è richiesto un impegno civile ed etico, non in quella che verrà. Cardinali, vescovi e sacerdoti prendano esempio da quei preti coraggiosi che lottano per un mondo diverso e comincino ad attuare le intenzioni e le parole del papa, nei confronti del capitalismo, dei potenti e delle classi politiche e dirigenti, anche quelle locali, parimenti responsabili.
Dalla manifestazione di domenica, come da tutte le manifestazioni che si stanno diffondendo su tutti i territori, per la tutela dei beni comuni e della vita e per la riappropriazione della democrazia, è necessario partire e lanciare un messaggio di impegno comune, ma anche di disobbedienza civile, di dissidenza e di resistenza, in una situazione storica che ricorda tristi epoche passate.
E’ necessario prendere coscienza che, per riappropriarci della democrazia e del diritto a decidere delle nostre vite, attuando un’autonomia (sostenibile, equa ed ecologica) economica, energetica, alimentare, le manifestazioni e le iniziative di sensibilizzazione sono importanti ma del tutto insufficienti, da sole, a fermare la mega-macchina che sta costruendo un futuro a tinte fosche per tutti noi.

* Movimento Potenzattiva

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