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COME già accaduto lo scorso  29 luglio quando  l’intera città si è stretta attorno ai lavoratori che hanno marciato, con mogli e figli,   per chiedere di potere rientrare nello stabilimento Sider  – l’impianto   sotto sequestro dal  25 luglio –   ieri mattina davanti ai cancelli di via della Siderurgica, dove prosegue il presidio a oltranza dei 250 dipendenti del gruppo Pittini,  è arrivato anche l’arcivescovo di Potenza,  Agostino Superbo che non solo ha celebrato una messa ma ha   portato  la sua solidarietà ai lavoratori e alle loro famiglie nella speranza che tutto alla fine si risolva nel migliore dei modi. Ed ecco allora che accanto alle bandiere dei sindacati e ai manifesti di protesta si vede l’altare dove uno accanto all’altro sono stati posati un casco bianco e il messale. Sotto un tendone verde Superbo e attorno a lui i lavoratori che tengono per mano i figli e le mogli. I più piccini stanno nei passeggini. Qualcuno è seduto su delle sedioline di plastica poste davanti a quella che è una chiesa a cielo aperto. La maggior parte ha preferito stare in piedi e ha formato un cerchio. Cerchio simbolo di unione ma anche un modo per sentirsi meno soli. Ed ecco che la prima domenica di agosto, in una città semi deserta, la Chiesa lucana ha deciso di trascorrerla accanto a quei madri e a quelle madri che dallo scorso 24 luglio stanno vivendo un dramma. Tutti mano nella mano mentre Superbo celebra la messa. Uniti nella lotta per difendere il proprio posto di lavoro. E di lotta – «necessaria soprattutto per i bambini» –  ha parlato, nell’omelia, l’arcivescovo che ha voluto portare davanti ai cancelli dello stabilimento la «parola di Dio come conforto alla rabbia, all’amarezza e all’insicurezza». Questa è «condivisione della sofferenza dell’altro», ha aggiunto.

Poi l’augurio: «Spero di tornare presto – ha detto Superbo – per celebrare una messa di ringraziamento  il giorno in cui l’azienda riaprirà i battenti». E si spera che questo avvenga al più presto anche perché la città non può permettersi un’altra emergenza lavoro e per di più di simile portata. Se la salute pubblica è un diritto è anche un diritto avere un lavoro. E come accaduto per l’Ilva di Taranto il dilemma è: morire per il lavoro che manca o morire di lavoro. Anche se quest’ultima ipotesi i dipendenti della Sider non l’hanno mai presa in considerazione. Loro, da quando l’impianto è stato rilevato dal gruppo Pittini, in quello stabilimento si sono sempre sentiti al sicuro. Lo ribadiscono oggi come l’hanno ribadito in passato ogni qual volta si parlava dei fumi che uscivano dagli altoforni prima ancora che intervenisse la magistratura. Che nell’aria ci siano sostanze nocive è un dato di fatto. Lo hanno confermato anche le analisi effettuate dall’Arpa Puglia. Ma il problema vero, che nessuno ha mai voluto affrontare,  è quello delle responsabilità dei vari amministratori, succedutisi alla guida della città, che anno dopo anno hanno consentito di costruire abitazioni in una zona sorta come area industriale. Basti pensare, ultime in ordine di tempo, alle palazzine edificate a Bucaletto.

Oggi, però, a pagare sono solo quei 250 lavoratori – e le loro famiglie – che da 10 giorni sono in mezzo a una strada. E va anche dato   atto al gruppo Pittini – altri al loro posto in situazioni simili hanno optato per la delocalizzazione all’estero – di avere,  dallo scorso primo agosto,  dato il via ai lavori per la  realizzazione  dei primi interventi per  ridurre le emissioni nell’aria dei fumi nocivi. Emissioni di fumi nocivi che aveva portato al sequestro dello stabilimento. E altri lavori erano comunque già stati effettuati negli anni precedenti.  Lo scorso primo agosto, intanto,  i carabinieri del Noe, su disposizione dell’autorità giudiziaria,  sono entrati nello stabilimento e hanno dissequestrato l’area spedizioni. E così gli operai hanno tirato un primo sospiro di sollievo.  Questa prima tranche di interventi per mettere in sicurezza lo stabilimento  terminerà il prossimo 6 agosto. Intanto i vertici della Pittini hanno anche predisposto un cronoprogramma logistico per i magistrati, in modo da permettere l’accesso dei camion nello stabilimento senza   “violare” le aree ancora sotto sequestro.

Il nodo cruciale – a prescindere dal dissequestro totale dello stabilimento – a oggi rimane quello della salvaguardia dei posti di lavoro e dei salari. Salari che garantiscono a 250 famiglie una vita dignitosa in una città e in una regione dove avere un posto di lavoro, oggi come oggi, è quasi una vincita al supernalotto. 

Ed ecco che è stato preparato un documento in cui i sindacati e i lavoratori – pur esprimendo «fiducia nella magistratura» – hanno chiesto una soluzione rapida della vicenda, in modo da «andare oltre lo stato di messa in libertà, che non prevede stipendio, per arrivare a percepire almeno agli ammortizzatori sociali».  Sulle forme di sostegno al reddito (stipendi o ammortizzatori sociali)  si discuterà il prossimo 6 agosto quando termineranno i primi  lavori, autorizzati dalla Procura,   per l’adeguamento di una parte degli impianti. E molto ipenderà anche dall’esito delle due nuove istanze presentate dai legali della Pittini. La prima relativa al dissequestro  di un’altra parte dello stabilimento. La seconda, invece, sul dissequestro totale, proprio a seguito degli interventi già iniziati da qualche giorno. Nella mattinata di venerdì scorso una delegazione composta da  dipendenti e sindacati è stata ricevuta dall’assessore regionale alle Attività produttive, Raffaele Liberali. Un incontro nel corso del quale si è discusso non solo degli ammortizzatori sociali, ma anche della salvaguardia dei posti di lavoro e dei salari ma anche delle prospettive industriali del  siderurgico di Potenza.

a.giammaria@luedi.it

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