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ROTONDELLA – A un certo punto, alla fine del pranzo, uno dei presenti si alza e dice: “Ma lo volete vedere il maestro? Eccolo, è qui. Era esattamente come lui”. Il segno della mano indica con decisione Luigi La Battaglia, 35 anni, giovane magistrato presso il tribunale di Rimini.

Il Luigi La Battaglia che fu, invece, moriva il 26 settembre del 1993, esattamente venti anni fa. Era lui il nonno del giovane magistrato, che non nasconde l’orgoglio per la somiglianza rilevata.

Commosso, qualche passo più indietro, c’è suo padre Nino La Battaglia, figlio del maestro, avvocato nel Consiglio dell’Ordine di Bari. Con lui c’è anche il figlio più piccolo, Vittorio. Li commuove l’allegria di anziani e anziane signore intorno al tavolo del ristorante La Mangiatoia. Ridono, si punzecchiano benevolmente, ma soprattutto ricordano.

Si sono riuniti in memoria del maestro Luigi La Battaglia, a pochi giorni dal ventennale della sua morte. Chi per un anno, chi anche solo per un mese di scuola assieme, gli deve qualcosa. E’ presente, in maggioranza, la classe quinta del 1948-49. Teodoro Lapolla, capoclasse di un tempo, stringe in pugno una copia del registro di classe. C’è l’elenco degli iscritti, con i presenti e gli assenti, qualcuno, purtroppo, giustificato. Alcuni nomi, infatti, sono segnati con una croce. Una fa male più delle altre, perché smuove il ricordo e lo riporta di schianto a quegli anni: è la croce di Aldo Agresti, scomparso a dieci anni per una appendicite, quando ancora frequentava la classe (allora si moriva anche così). Poi ci sono le croci più vicine nel tempo, che pure commuovono. Come quella di Peppe Valicenti, storico barista di Rotondella, scomparso poche settimane fa. Alle croci seguono i ricordi. Il convivio, infatti, non è stato un momento tristemente nostalgico, ma lieto, con una presenza-assenza che ha permeato i ricordi di tutti: il signor maestro.

La prima parola spetta ai più anziani.

Al tavolo, infatti, non c’è solo la classe quinta del ‘48-49, ma anche qualche superstite di quella del 1942. Nicola Pietro Pastore (nativo del ‘29) non smetterebbe mai di parlare, tanta è la passione che quei ricordi evocano in lui. Quell’anno non fu semplice per il maestro La Battaglia. A percorso iniziato, infatti, arrivò la temutissima cartolina di chiamata alle armi per il fronte francese; per molti fu una carneficina, lui per fortuna fece salva la pelle. Nei due mesi di assenza lo sostituì la maestra Carmela Dimatteo, alla quale poi subentrò di nuovo, come nulla fosse, con quello stesso sguardo che “da solo bastava ad incutere timore”; un’autorevolezza costruita con l’esempio e con i modi, senza bisogno di rudezza.

Memoria storica di quegli anni è anche Ottavio Izzi, classe di leva 1932. I ricordi nella mente si affollano, a quello del maestro corrisponde un’immagine benevole e paterna.

Interviene poi Salvatore Antonio Suriano, classe 1935. “Residente nel rione Cervaro” ci tiene a specificare, proprio per evidenziare la prossimità che ancor più degli altri lo legava al suo amato maestro, anch’egli di casa al Cervaro. Aveva un compito speciale prima di avviarsi a scuola. Tutti i giorno doveva passare dalla casa del maestro, dove c’era la moglie ad attenderlo con il braciere pronto: era una scatola o un secchio di latta con brace all’interno per riscaldarsi nei gelidi mesi invernali. Non c’era altro modo per farlo. Anche i singoli allievi, quando potevano, provvedevano con un barattolino in formato mini da tenere accanto al banco.  E per i bisogni corporali? «Si andava tra i triv’l e i cucumarrong’», scherza Teodoro Lapolla. «Erano le piante che crescevano all’esterno della scuola». Insomma, ci si arrangiava.

«Il Maestro La Battaglia – ricorda ancora Salvatore Suriano – teneva tanto allo studio, ma mai quanto teneva alla serietà personale». Tra famiglie e scuola, a quel tempo, c’era una fiducia di fondo che oggi è merce rara.

«Se a scuola ricevevo un ceffone e mio padre veniva a saperlo, non andava mica a protestare dal maestro, semplicemente mi dava il resto a casa». Teodoro Lapolla, classe 1936, è tra i promotori dell’incontro. E’ pieno di gratitudine nei confronti del maestro. La sua è una bellissima storia di recupero e valorizzazione scolastica. Temi che esistevano già allora, ed in modo concreto, prima che il “didattichese” degli ultimi decenni li riducesse a parole vuote.

Per due volte era stato bocciato, costretto a ripetere l’anno, quando il maestro La Battaglia lo prese con sé nelle sue classi. Lo motivò, lo valorizzò, gli fece ritrovare la fiducia in se stesso. «E così, dopo tanto impegno, alla fine mi ritrovai addirittura capoclasse». Da ripetente divenne modello. «Probabilmente non ero il più bravo, ma il maestro sapeva sempre darmi fiducia».

In classe c’era anche la sua attuale moglie, Gilda Santulli. Il marito Teodoro ricorda che a quel tempo era innamorata proprio dell’amico scomparso, Agresti. «E poi sono arrivato io». Pentita di averlo sposato? “No” risponde lei, imbarazzata ma decisa. Ricordare la scuola è anche ripensare a trame di vita che in qualche caso sono state l’inizio di lunghe storie.

E’ del gruppo anche Giuseppe Gialdini, nato nel 1936, assieme alla sua signora Giuseppina Fortunato. «La Battaglia era una persona molto seria e severa, ma allo stesso tempo sapeva essere umile. Non smetterò mai di ringraziarlo per le centomila cose che mi ha insegnato». Gialdini si esprime in un buon italiano, e forse c’è anche questa tra le cose apprese dal maestro.

Elvira Lapolla, classe 1938, era di casa nell’abitazione del maestro La Battaglia. Amica di sua figlia, di pomeriggio era spesso accolta dalla moglie del maestro: «Anche lei mi voleva un bene pazzo». Era, per tutti, “la maestra Stella” (per la verità un maldestro, ma simpatico riadattamento del suo cognome, Lastella, trasformato in nome).

A quel tempo Elvira era spesso a casa del maestro, ora, ironia della sorte, vive nella stessa casa in cui allora si teneva la “sua” scuola. Ogni maestro del paese, infatti, in quegli anni aveva una stanza in cui accoglieva gli studenti: la scuola non era come la conosciamo oggi, con più aule in un unico edificio, ma ogni mastro era dislocato in un punto diverso del paese. Maria Toscano, nativa del ‘38, col maestro La Battaglia ha fatto solo quinta, dopo aver frequentato con la maestra Porcari. Eppure di quel 1948 ha un ricordo vivissimo, che rimanda alle decisive vicende di quegli anni. «Ricordo i giorni in cui la Costituzione andò in vigore. Poco tempo dopo il maestro si presentò a scuola con un  libretto in cui erano contenute le leggi e ce ne spiegò l’importanza».

La Costituzione non era ancora il cimelio astratto e lontano che appare essere oggi, ma una conquista recente, ottenuta con sacrificio immenso di cui era ancora viva la memoria. «Ci teneva molto alla lettura e all’espressione con cui leggevamo», ricorda ancora la signora Maria. Tra di loro ce n’era uno già molto bravo in lettura: Antonio Valicenti, non a caso, negli anni a venire, poeta e romanziere di fama.

Non era di quella classe Antonio Lippo, ma il maestro se lo ricorda bene: «Erano i tempi in cui i maestri erano famosi per le botte, ma lui non ne aveva bisogno: lo sguardo serio e la voce secca bastavano da soli a intimorirti”. Insomma, per tutti un padre.

Tra di loro c’è Nino La Battaglia, figlio anche in senso biologico, non solo educativo. Ascolta, dialoga, si commuove con loro. Poi tutti verso la casa del maestro al rione Cervaro: è lì che si deve fare la foto ricordo della giornata. Ci si saluta davanti un panorama mozzafiato, che abbraccia chilometri di costa da Porto Cesareo fino a Sibari e oltre. Il belvedere di piazza della Repubblica è chiamato il Balcone dello Jonio, ma la vista più ampia da Rotondella è quella del Cervaro.

Ed è dolce, andando via tra le viuzze disabitate, il pensiero che la scuola abbia reso possibile una giornata come questa. Accade perché i rapporti autentici lasciano sempre un bel ricordo, anche, anzi soprattutto, quando qualcuno lascia ad altri qualcosa che rimane per sempre: l’educazione.

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