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POTENZA – Nelle prossime ore i risultati delle analisi verranno comunicati ai legali di Eni, Tecnoparco, e dei 10 indagati per traffico illecito di rifiuti. Ma la sensazione è che non si sia stato il classico “buco nell’acqua”, se anche la Dna di Franco Roberti ha deciso di accendere i riflettori sul caso lucano. E a breve non sono da escludere nemmeno provvedimenti eclatanti.
E’ al vaglio dei pm da ieri mattina la consulenza dell’esperto nominato a luglio dell’anno scorso per analizzare i reflui di produzione del Centro oli di Viggiano, l’infrastruttura fondamentale di tutto il programma di estrazioni Eni in Val d’Agri.
Si tratta di Mauro Sanna, già salito alla ribalta delle cronache locali e nazionali per il lavoro sulle emissioni della Siderpotenza, che a luglio ha portato al sequestro dell’impianto, e nel 2011, quando venne incaricato dalla Procura di Taranto di effettuare una perizia chimica sui veleni dell’Ilva.
Questa volta Sanna si è dovuto occupare di acque, chiamate in gergo “acque di produzione”. Vale a dire un cocktail della componente acquosa separata dal greggio destinato alla raffineria, più tutte le sostanze utilizzate per estrarlo e prepararlo all’immissione nell’oleodotto, in direzione Taranto.
Di solito le compagnie petrolifere tendono a liberarsene reiniettando il tutto, o la gran parte, nei pozzi già esauriti. Ma in Basilicata ce n’è soltanto uno, e non mancano le preoccupazioni a riguardo data l’alta sismicità dell’area. Perciò gran parte, decine di migliaia di tonnellate all’anno, va all’esterno dell’impianto, e arriva a Tecnoparco, dove subisce alcuni trattamenti prima di finire nel Basento.
I dubbi degli investigatori si sono concentrati sul tipo di trattamento effettuato e i codici rifiuto assegnati a quei liquami in partenza da Viggiano, dove non esisterebbero apparecchi in grado di eliminare tutte le tracce di sostanze tossiche dal loro interno.
Fatto sta che a giugno di due anni fa le indagini commissionate dal Comune di Pisticci hanno evidenziato un superamento proprio delle soglie di contaminazione da idrocarburi nei sedimenti del fiume a valle degli scarichi di Tecnoparco.
Se l’ipotesi degli inquirenti fosse confermata dall’esito dei test di laboratorio è evidente che prenderebbe corpo l’accusa di traffico illecito di rifiuti per l’ex capo della divisione Sud dell’Eni, Ruggero Gheller (oggi a capo della controllata norvegese della compagnia di San Donato), e uno dei progettisti del Centro oli, Stefano Maione. Assieme ai vertici di Tecnoparco, la società a capitale misto pubblico e privato nata per offrire servizi alle aziende dell’area industriale di Pisticci, che poi ha aperto le porte anche ai rifiuti provenienti da altre zone della Basilicata e non.
Si tratta di Michele Somma, che è anche presidente degli industriali lucani, del direttore Nicola Savino, e di due dipendenti: Domenico Scarcelli e Saverio Frulli più alcuni dei nomi che ritornano più spesso nelle società del loro gruppo, come Giulio Spagnoli. Più un noto costruttore materano, Giovanni Castellano, titolare di un’impianto per lo smaltimento di fanghi industriali a Guardia Perticara, e già coinvolto in un’altra inchiesta sulla gestione dei rifiuti urbani del bacino “Potenza centro”. Quindi Gaetano Santarsia, commissario del Consorzio per lo sviluppo industriale di Matera, titolare della quota di maggioranza relativa di Tecnoparco, e Massimo Orlandi, l’ex amministratore delegato di Sorgenia, società del gruppo De Benedetti presente a sua volta nel capitale di Tecnoparco, dimissionario, che però ha lasciato a luglio del 2013.
Poi spetterà ai pm della Dda lucana, Laura Triassi e Francesco Basentini, e all’“inviata” del procuratore nazionale antimafia Elisabetta Pugliese, esaminare la situazione e la maniera migliore di ripristinare una gestione corretta degli scarti delle estrazioni per evitare rischi per l’ambiente, oltre alla salute di chi vive a valle degli scarichi del depuratore utilizzato.
Ma tra i quesiti sottoposti al superconsulente si parla anche delle autorizzazioni concesse all’impianto della compagnia di San Donato dalla Regione Basilicata. Un doppio via libera, per essere precisi, dato che nel giro di 3 mesi la Regione ha concesso prima l’autorizzazione integrata ambientale al Centro oli, e poi l’ok al suo ampliamento con la realizzazione di una quinta linea capace di aumentare la produzione di greggio in maniera notevole, forse persino raddoppiarla. Ampliamento che alla base del recente stop alle estrazioni deciso da Eni, per ultimare i lavori in sicurezza.
Nei mesi scorsi sia Eni che Tecnoparco hanno già respinto con decisione i sospetti sul loro operato.

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