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Maurizio Bolognetti da anni è impegnato a denunciare quelli che lui stesso ha definito “I veleni industriali e politici della Basilicata”. Un frammento, o se volete un capitolo, di quella peste italiana che i radicali hanno descritto in un dossier pubblicato a ridosso delle elezioni Europee del 2009. Paradossalmente, succede che ad essere finito sotto inchiesta dopo l’ennesima denuncia sia stato lo stesso Bolognetti, al quale la Procura di Potenza contesta la violazione del segreto d’ufficio. La colpa? Aver sollevato dubbi sulla qualità delle acque invasate nelle principali dighe lucane che forniscono acqua potabile alla Puglia e aver suffragato i dubbi attraverso analisi commissionate ad un laboratorio privato.

Il 26 gennaio, Maurizio Bolognetti e il Ten della Polizia Provinciale Giuseppe Di Bello dovranno comparire davanti al GUP. Una vicenda kafkiana e paradossale che vede trattati da criminali coloro che, onorando la Convenzione di Aarhus, il diritto a conoscere per deliberare e il dettato costituzionale, hanno denunciato potenziali pericoli per la salute umana. L’art. 5 comma c della Convenzione di Aarhus recita: “In caso di minaccia imminente per la salute umana o per l’ambiente, imputabile ad attività umane o dovuta a cause naturali siano diffuse immediatamente e senza indugio tutte le informazioni in possesso delle autorità pubbliche che consentano a chiunque possa esserne colpito di adottare le misure atte a prevenire o limitare i danni derivanti da tale minaccia”.

Tutto questo accade mentre degli esposti indirizzati dallo stesso Bolognetti alla Procura di Potenza su gravi vicende di devastazione ambientale sembra essersi persa ogni traccia. Le procure lucane indagano da due anni sull’inquinamento della falda acquifera del fiume Ofanto, provocato dall’inceneritore Fenice e, per usare un eufemismo, si potrebbe dire che l’inchiesta segna il passo. Da due anni si attendono risposte sulle cause che hanno determinato un duplice sequestro della sorgente Acqua dell’Abete, tributaria dell’invaso della Camastra; da dieci anni si attendono risposte sul sequestro della vasca fosfogessi, ubicata nell’area ex-liquichimica, dove, in base alle ipotesi formulate dagli inquirenti, sono state stoccate decine di migliaia di tonnellate di fanghi industriali e anche fanghi provenienti dalle attività petrolifere.

Il 1 marzo 2010 l’abitazione di Maurizio Bolognetti è stata sottoposta a perquisizione domiciliare su disposizione del sostituto procuratore Salvatore Colella. Successivamente, il tenente Di Bello è stato sospeso dal servizio per due mesi e destinato ad altro incarico. Perquisiti, denunciati, perseguiti, dunque, non gli inquinatori, ma chi l’inquinamento ha denunciato. In terra di Basilicata funziona così.

La prof.ssa Maria Rita D’Orsogna, docente universitaria presso il Dipartimento di Matematica della California State University, a Northridge, nel commentare la vicenda dalla pagine del suo Blog ha scritto: “I due non hanno nessuna colpa, ai miei occhi almeno, se non quella di aver cercato la verità”.

Nelle prossime settimane, per le edizioni Reality Book verrà pubblicato il libro “La Peste Italiana: il caso Lucania. Dossier sui veleni ambientali e politici che stanno uccidendo la Basilicata”. Il libro scritto dallo stesso Bolognetti sarà aperto dalle prefazioni di Carlo Vulpio(Giornalista) e Don Marcello Cozzi (Libera Basilicata).

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