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VENENDO dal mare, prendo la strada per Nova Siri, strada delimitata da olivi che a loro volta proteggono vigneti e frutteti, inframmezzati da fichi d’india con frutti già maturi.

La cittadina appare incastonata sul fianco di un’altura e l’una e l’altra sono sovrastate da un colle più alto sul quale sorge Rotondella; da entrambe le cittadine la vista spazia libera da un lato sul golfo di Taranto e dall’altro sulla Calabria, verso la vicina e bella Rocca Imperiale, lucana fino al 1816.

Giunto in Piazza Plebiscito, un vigile urbano al quale chiedo dove posso lasciare la Panda gentilmente mi cede il suo parcheggio, cosicché posso incamminarmi verso il castello, ripromettendomi poi di scendere attraversando il centro storico.

Procedo in salita fra palazzi antichi divisi da stradine che in qualche caso diventano non più che vicoletti, lungo i quali talvolta un arco collega le costruzioni poste ai due lati. In qualche caso le ringhiere dei balconi, ancora quelle originali in ferro battuto, sembrano toccarsi.

Del castello, appartenuto ai Sandoval e da ultimo al duca Crivelli, è osservabile solo qualche tratto esterno, il portale di ingresso ed il cortile interno, con scale che portano ad abitazioni private, ovviamente non visitabili e che hanno finestre e balconcini sull’interno e sull’esterno.

Da un balconcino esterno, posto su un angolo della costruzione, una bimbetta mi fa ciao sorridendo. Rispondo al sorriso, faccio ciao e riprendo la visita, sempre senza piantina turistica.

Gironzolo fra vicoletti e scalinate, mi infilo sotto suggestivi archetti, fin quando arrivo in una stradina posta alle spalle del castello, all’inizio della quale mi soffermo a leggere un’iscrizione che rievoca la storia di don Diego Castro Sandoval, poeta amico di Isabella Morra (qualcuno dice amante). Entrambi uccisi per mano dei fratelli della sfortunata Isabella, autrice di struggenti poesie.

Di fronte, il palazzo Settembrini ed a pochi metri una candida casa – torre cilindrica dalle forme morbide – che sembra fatta di marzapane rivestita di glassa. Mi soffermo a fotografare ancora palazzi, scalinate, archi e piazzette. Una di queste è delimitata da un lato da un palazzo con ampi archi a dall’altro da un terrazzo-belvedere.

Un terzo lato guarda alla parte più antica dalla quale provengo dopo essere passato dalla Chiesa di Santa Maria Assunta e dalla Cappella dell’Annunziata arricchita da finestre dalle forme armoniose. L’ultimo lato si apre al centro storico più recente. Qui giunto, mi fermo a chiacchierare con alcuni anziani seduti su una panca in pietra accanto alla cappella “Santa Sinforosa”, facente parte del Palazzo Costa. Mi parlano di politica, dei “tempi andati”, di “quando c’era lui,che si stava meglio,che c’erano meno ladri…”. Poi, uno alla volta, si recano a pranzo.

Ed io ridiscendo a valle, incantato dall’azzurro del mar Jonio. Per quanto ancora lo sarà, azzurro? E se diventasse “mar nero” o “ mar morto” trafitto dalle trivelle?

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