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POTENZA – «Insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza». E’ il giudizio della Corte di Cassazione che giovedì notte ha deciso sul ricorso presentato dal sindaco di Melfi Livio Valvano, assistito dall’avvocato Gaetano Araneo, sulle accuse per cui a gennaio era finito agli arresti domiciliari.
I magistrati di piazza Cavour hanno anche detto no alla Procura di Potenza, che aveva chiesto un nuovo arresto per il primo cittadino e l’ex capo dell’ufficio tecnico del Comune Bernardino D’Amelio, assistito dall’avvocato Giuseppe Colucci.
Le motivazioni della decisione verranno depositate nelle prossime settimane. Intanto però Valvano, D’Amelio e altri 23 imputati nell’inchiesta su gare truccate e abusi di potere nella cittadina federiciana dovranno presentarsi davanti al gup. Per il 2 luglio, infatti, è previsto l’inizio del processo con la celebrazione dell’udienza preliminare.
Il primo cittadino di Melfi aveva chiesto già al Riesame il riconoscimento dell’ingiusta detenzione subita. Ma i magistrati potentini lo avevano rimesso in libertà solo per mancanza di esigenze cautelari, confermando per il resto l’impianto dell’accusa. Di qui il ricorso in Cassazione, che in caso di assoluzione apre la strada a un risarcimento, proprio in forza del verdetto appena pronunciato.
«Con la stessa compostezza e con lo stesso stile con cui abbiamo seguito la prima fase dell’inchiesta – ha dichiarato all’Ansa l’avvocato Araneo – oggi esprimiamo la nostra soddisfazione».
Meno diplomatico Valvano che su facebook ha ironizzato sul «non comune spessore delinquenziale» che gli era stato attribuito dagli inquirenti.
L’inchiesta sul Comune di Melfi era nata nel 2013 da una serie di accertamenti sugli affari dei Caprarella, imprenditori nel mirino dell’antimafia per i loro rapporti col clan Di Muro.
A causa del ruolo “centrale” rispetto a tutta la vicenda per il capo dell’ufficio tecnico del Comune il gip Petrocelli aveva disposto inizialmente la custodia cautelare in carcere. Ma nell’interrogatorio di garanzia D’Amelio aveva fatto diverse concessioni all’accusa, salvo ridurre il tutto a “leggerezze” dovute alla familiarità acquisita con tanti imprenditori che ogni giorno bussavano alla sua porta. Poi è arrivato il provvedimento di sospensione dal servizio e dal carcere è passato ai domiciliari.
Molto diverso l’atteggiamento del primo cittadino, che è rimasto ai domiciliari per più di una settimana e poi è stato costretto per alcuni giorni a dimorare lontano dalla sua Melfi.
«Io parlo di legalità e ritengo il rispetto della legalità una cosa sacra. Dopo di che ritengo come mio impegno altrettanto sacro quello di soccorrere ai bisogni collettivi e ai bisogni dei cittadini deboli… e ritengo di non aver violato la legge».
Così di fronte al gip aveva risposto all’accusa di aver fatto assumere una persona bisognosa alla ditta dei Caprarella, proprio nei giorni in cui la giunta discuteva di ricche varianti sui loro appalti principali: quello da un milione e 800mila euro per la costruzione delle case popolari di contrada Bicocca; e quello da un milione e centomila per l’adeguamento dell’istituto scolastico Nitti.
Tra i capi d’imputazione per Valvano c’è anche quello di aver avallato l’affidamento ai Caprarella della variante sulle case popolari chiedendo in cambio la realizzazione di ascensori.
Oltre al sindaco il 2 luglio dovranno comparire in Tribunale tutti i membri della vecchia giunta (tranne l’ex assessore Rosa Masi), due dirigenti del Comune, imprenditori, un consigliere comunale e un ex sindaco come l’avvocato Alfonso Salvatore.

l.amato@luedi.it

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