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POTENZA – Il “fumus” c’è. Sia quello dei reati contestati ai vertici delle Ferriere Nord. Sia quello tossico rilevato ai camini dello stabilimento di Potenza. Quindi il sequestro resta, con la facoltà d’uso per «contemperare le esigenze cautelari con quelle produttive».
E’ quanto afferma la Corte di cassazione che ha respinto il ricorso presentato dai legali di Federico Pittini, Marco Minini e della stessa società.
Le motivazioni della decisione sono state depositate ieri mattina e confermano quanto stabilito a settembre dal Tribunale del Riesame di Potenza.
La difesa aveva lamentato che i giudici potentini si erano basati «sulle risultanze di una consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero senza considerare quanto argomentato nella consulenza di parte prodotta dalla difesa, con la quale sarebbe stata posta in luce la infondatezza scientifica delle conclusioni rassegnate dai consulenti della pubblica accusa».
«A tale proposito i ricorrenti – spiegano i giudici di piazza Cavour – analizzano nel dettaglio i contenuti della consulenza d’ufficio, ponendo in evidenza l’insussistenza di rischi per la popolazione conseguenti alle emissioni prodotte dallo stabilimento, l’adeguatezza del sistema di captazione dei fumi e la conformità degli impianti alle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale ed osservando che, in ogni caso, sarebbero stati adottati tutti gli accorgimenti tecnici e le modalità operative atte ad impedire la dispersione incontrollata delle emissioni ed osservate tutte le prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale, come dimostrato dall’assenza di interventi da parte della Regione Basilicata, alla quale l’autorità giudiziaria si sarebbe sostituita».
La Corte ha bocciato parte delle argomentazioni rinviandole al processo, che a breve dovrebbe entrare nel vivo a Potenza.
Per il resto sostiene che il Riesame ha ripercorso in maniera corretta gli elementi a disposizione. Valutando l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza rispetto all’accusa di aver causato la produzione «attraverso le attività di lavorazione e produzione svolte nello stabilimento, di emissioni diffuse, disperse all’interno dell’insediamento e nelle aree circostanti, di sostanze pericolose per la salute e l’ambiente (idrocarburi policiclici aromatici (Ipa), policlorobifenili (Pcb), diossine e furani)». Con quanto ne consegue in termini di violazioni «delle prescrizioni imposte con l’Aia» per le emissioni «di elementi inquinanti, quali il monossido di carbonio, superando i limiti fissati dall’atto abilitativo».
I giudici stigmatizzano il fatto che si sia sostenuta «l’assenza di correlazione tra i fenomeni inquinanti riscontrati e l’attività dello stabilimento sequestrato, senza tuttavia prospettare alcuna ipotesi alternativa sulle origini dell’inquinamento riscontrato».
Ed evidenziano che il Riesame non si è limitato «ad analizzare le risultanze della consulenza del Pubblico Ministero», ma ha preso in esame «anche le argomentazioni sviluppate in quella della difesa, osservando, però, che, a fronte di quanto accertato dai tecnici della pubblica accusa, nella consulenza di parte viene posta in discussione soltanto la validità scientifica dei campionamenti».
A seguito del sequestro Ferriere Nord ha già adottato una serie di prescrizioni indicate dal gip in particolare a tutela della salute dei lavoratori. Così ha ottenuto la facoltà d’uso dell’impianto. Resta da attuare invece un ulteriore intervento che secondo l’accusa potrebbe risolvere in maniera definitiva le problematiche evidenziate. Un intervento costoso, da cui dipende la possibilità per ottenere la revoca del sequestro stesso. A maggior ragione dopo la sentenza della Cassazione.

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