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POTENZA – A Taranto la reale portata dell’inquinamento dell’Ilva si è capita così: sommando ai dati sulle emissioni le statistiche sulle malattie contratte dalle persone che vivevano nelle aree limitrofe. Ma a Potenza di quest’ultimo aspetto non si sa ancora nulla.

Non c’è il disastro ambientale nelle ipotesi d’accusa degli inquirenti del capoluogo. Il procuratore capo Luigi Gay lo ha detto chiaramente. Poi però ha aggiunto che le indagini proseguono e nelle prossime settimane si proverà a capire proprio quali siano stati gli effetti sulla salute delle emissioni prodotte dall’impianto della Siderpotenza.

Sì perché se i dati delle ultime rilevazioni hanno evidenziato “soltanto” la presenza di diossina oltre la soglia consentita, e la presenza di una quantità considerevole di idrocarburi aromatici nelle emissioni non convogliate è merito dei lavori effettuati la scorsa estate.

Su quanto accaduto prima resta il mistero, nonostante i dati dell’unico rilevamento sulle deposizioni atmosferiche, effettuato un mese prima dell’installazione dell’impianto di abbattimento dei fumi, facciano pensare al peggio.

Bisogna sempre considerare che la “Ferriera” è un trentesimo dell’Ilva per dimensioni, e il suo motore è un forno elettrico, che è cosa ben diversa dal suo equivalente a carbone, soprattuto in fatto di emissioni.

Perciò è fuori luogo pensare a livelli simili di idrocarburi aromatici dispersi nell’aria, inclusi quelli cancerogeni come il benzo(a)pirene, che vengono assorbiti anche solo per inalazione.

L’incubo è piuttosto la diossina che è pur sempre cancerogena ma tende ad accumularsi nella catena alimentare contaminando quello su cui va a poggiarsi ricadendo sulla superficie.

A Seveso per la nube di diossina che si sprigionò in una notte da un’esplosione di una fabbrica lì vicino le conseguenze vennero registrate a distanza di trent’anni con un incremento di alterazioni neonatali, mentre è rimasta controversa la statistica reale sui tumori.

Dati che a Potenza nessuno sembra avere mai raccolto, anche perché in questi anni nessuno ne ha mai voluto parlare. Un silenzio rotto soltanto da qualche comitato, a cui adesso, dopo il sequestro dell’impianto, gli inquirenti sperano che si aggiunga qualcun altro disposto a denunciare quanto accaduto a un amico o a un familiare.

l.amato@luedi.it

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