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POTENZA – La distanza che passa tra i principi e la pratica sta nell’attività quotidiana. Della politica come dei cittadini. Ed è la differenza che c’è tra la città sperata o immaginata e la città reale, costruita giorno per giorno.

Nel 2009 il consiglio comunale di Potenza ha approvato all’unanimità lo Statuto comunale: un testo che, soprattutto nella sua prima parte, quella dei principi, è stato riconosciuto come molto moderno. Parole dosate – non senza un lungo dibattito politico all’epoca – per restituire una piccola carta costituzionale della città, blindata sui diritti di integrazione e partecipazione alla vita cittadina.

Anni dopo che cosa rimane? Molti di quegli articoli non sono applicati, altri sono stati disattesi, altri ancora devono essere modificati per rispettare nuove prescrizioni nazionali. Dovrà accadere, per esempio, con la figura del difensore civico, prevista nello statuto e di recente abolita dal governo centrale. Un’altra modifica su cui il consiglio comunale dovrà lavorare è legata alle previsioni della giunta. Quando hanno approvato lo statuto forse i consiglieri non si sono accorti di aver indicato in modo tassativo che la giunta fosse fatta da dieci assessori. Non aver scritto “fino a un massimo di” dieci componenti ha reso obbligatorio un esecutivo tanto numeroso. Ma oggi, in tempi di antipolitica e rigore sulle spese istituzionali, quella previsione appare decisamente fuori luogo.

I primi undici articoli dello statuto del Comune di Potenza sono quelli densi di prospettiva sulla città: plurale, accogliente, capace di integrare, in difesa dei deboli, pronta a colmare le distanze del disagio, capace di tutelare i più piccoli.

Lo statuto prevede l’impegno del Comune nel sostegno alle associazioni e alla partecipazione attiva dei cittadini. Ma proprio sul versante sociale, la scarsità di fondi impedisce spesso un sostegno concreto e costante alle politiche di prevenzione o di lotta al disagio.

Ancora, lo statuto prevede organismi consultivi (come i comitati di quartiere o la consulta per gli stranieri) e si impegna a farne strumenti di partecipazione. Nella pratica, però, questi organismi sono stati abbandonati o sono stati organizzati in modo tale da non poter reggere il compito (troppi 21 comitati a Potenza, molti dei quali neanche nati per l’assenza di quorum alle elezioni popolari del 2008). Il risultato è che spesso una previsione  – positiva  e moderna – è rimasta un principio ideale.

 

NEI QUARTIERI: “Rioni, figli e figliastri”

«VORREMMO capire come mai ci sono luoghi della città dove si interviene con urgenza e altri destinati ad aspettare». Neanche il tempo di fare la segnalazione, al parco di Macchia Romana, che «l’amministrazione ha trovato la soluzione».

La «disparità di trattamento» che l’opposizione ha denunciato ieri in conferenza stampa guarda a un caso in particolare: gli atti vandalici al parco di Macchia Romana a cui, dopo alcune segnalazioni, l’amministrazione tenta di porre un argine con un servizio di vigilanza. «Mi chiedo, però – ha detto il capogruppo Fernando Picerno (Pdl) – perchè ci sono situazioni di disagio, difficoltà e disservizio che aspettano da anni».

Anche se non in modo esplicito, quello che è emerso nelle parole dell’opposizione è la denuncia di una certa “preferenza” dell’ente per alcune aree cittadine. A Macchia Romana, per esempio, il comitato di quartiere, il cui presidente è autista di Palazzo di città, sarebbe più ascoltato che altri.

Le lamentele non arrivano solo da ambito politico. Il presidente del comitato di quartiere di rione Lucania, Orazio Colangelo, ha fatto notare proprio ieri che ci sono zone della città in cui si agisce con maggiore celerità. «Mi domando se i comitati di quartiere abbiano un valore, se siano davvero organismi tutti uguali e meritevoli di essere ascoltati. Non c’è, del resto, anche un assessore con questa delega?». E per dimostrare che non si tratti di una rivendicazione personale, annuncia: «Chiederò la convocazione di tutti i presidenti di comitato di quartiere. Dovranno ascoltarci tutti».

s.lorusso@luedi.it

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