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POTENZA – A fine mattinata, dopo essere stata ricevuta dal presidente Pittella, la delegazione annuncia: «Ce l’abbiamo fatta». Secondo quanto riferisce una rappresentante del comitato promotore della manifestazione (senza precedenti) delle aziende dell’indotto Eni, il governatore avrebbe mostrato buona disponibilità rispetto alle richieste da loro presentate. Assicurando che “la Regione svolgerà un ruolo di coordinamento tra gli enti competenti per una nuova accelerata sulle autorizzazioni relative agli accordi del ‘98 e del 2006”. Parola degli organizzatori. Fischietti e bandiere salutano il risultato. Il presidio davanti alla Regione si scioglie. Ripartono per la Val d’Agri i lavoratori – circa un migliaio – e i titolari delle aziende – 38 quelle aderenti alla manifestazione – arrivati in mattinata a bordo di otto pullman. Ma il colpo d’occhio nel piazzale antistante il palazzo della Giunta è dato soprattutto dalle decine di gru che gli imprenditori hanno portato sul posto. A ogni braccio meccanico, una bandiera. Quella dell’azienda di provenienza. Sembra quasi una risposta a quei trattori che a dicembre scorso erano puntati contro il cancello della Regione. Erano lì per un’altra protesta, sempre sul petrolio, ma di segno completamente opposto: “basta estrazioni”, era stato il motto che li aveva uniti. Ieri mattina, invece, per la prima volta, in piazza c’erano i volti del “sì al petrolio”. Imprenditori, soprattutto lavoratori, accompagnati dalle mogli e in qualche caso anche dai figli. Non c’erano i sindacati che non hanno condiviso l’iniziativa. E nemmeno Eni, anche se sono in molti a pensare che la big del petrolio abbia mandato avanti l’indotto per sbloccare una situazione che per prima ha denunciato. Gli organizzatori smentiscono: «E’ una manifestazione autonoma». «Genuina», l’aveva definita il giorno prima il presidente degli industriali lucani, Michele Somma. Il concetto comunque è quello, affidato agli slogan e alle (poche) voci che hanno voglia di rilasciare dichiarazioni ufficiali.
“Petrolio è energia” recitano le magliette, numerate, che i manifestanti indossano. Ma, soprattutto, è lavoro. E il motivo che ieri li ha spinti a scendere in strada è proprio la difesa dell’occupazione. Il clima di ostilità nei confronti delle attività estrattive e, di conseguenza, i ritardi sugli iter autorizzativi di pozzi già previsti dai vecchi accordi con Eni e Shell mettono a rischio le attività e quindi i posti di lavoro. Molti contratti in scadenza nell’indotto non sono stati già rinnovati. Quando i lavori per la quinta linea del Centro Oli saranno terminati, stando così le cose, saranno in molti a rimanere a casa. Sempre che invece non si sblocchino i lavori per le opere già autorizzate. Ed è questa la richiesta principale rivendicata ieri dai circa mille manifestanti. Meno dei 2.000 previsti, ma di certo non pochi.
«Forse non lo hanno capito, ma se si fermano le attività estrattive, la Basilicata può chiudere», dice un lavoratore della Gdm Margherita che si occupa di manutenzione edile. «Non si fa che parlare degli aspetti negativi delle estrazioni – aggiungono di dipendenti della Caruso – Ma nessuno dice che per noi il petrolio rappresenta il lavoro. Le cose che non vanno sono tante, a partire dalla scarsa ricaduta sui territori delle royalty. Ma sta alla Regione fare in modo che in Basilicata si faccia attività estrattiva in maniera corretta e intelligente, garantendo sicurezza ai territori e benessere ai cittadini». A partire dal fatto – spiegano i dipendenti – che il massimo ente territoriale dovrebbe pretendere l’assunzione di manodopera lucana. «Gli operai siciliani che ci hanno mandato, oggi non sono nemmeno qui a protestare con noi, tanto loro il lavoro ce l’hanno assicurato». Dello stesso tenore il commento di un lavoratore della Sudelettra, l’azienda che, con i suoi 300 dipendenti (quasi la metà ha preso parte alla manifestazione), è tra le più grandi del polo estrattivo della Val d’Agri. «Quelli che dicono “no alle estrazioni” forse non capiscono che il petrolio è un’incredibile risorse e che se non saremo noi a usufruirne, ci penseranno gli altri. Sono le istituzioni che dovrebbero impegnarsi a trarre il massimo profitto da questa fonte di ricchezza». Hanno anche una proposta da fare: «La Regione dovrebbe entrare in società con Eni e dividere i profitti al 50 per cento, non stare lì a farsi rubare l’oro nero dal territorio, senza porre condizioni». Ci sono poi alcuni operai della Sis, azienda che per il Centro Oli si occupa dei servizi integrati di sicurezza, tutti giovanissimi e soprattutto molto motivati: «Bisogna mettere le imprese del settore in condizioni di lavorare. Il meccanismo è semplice: se si fa crescere il comparto, si fa crescere anche l’occupazione. Ci occupiamo di sicurezza per il Centro Oli e possiamo garantire che tutti i parametri previsti dalla legge sono rispettati. Si tratta pur sempre di una centrale che svolge lavorazioni chimiche, ma lo fa attenendosi a tutti i vincoli previsti dalle norme».
Dalla Val d’Agri è arrivato anche chi con l’indotto Eni non ha nulla a che fare, ma che con la sua presenza ha voluto dare sostegno all’iniziativa e soprattutto dire la propria. Come Emanuele Votta, che ha portato con se’ anche il suo piccolo figlio che indossa la maglietta “diamo carburante all’economia”. Votta, amministratore di una cooperativa, arriva dalla Svizzera, da un piccolo centro in montagna dove da anni è in funzione un impianto di incenerimento di rifiuti. «Lì la popolazione è tranquilla perché ha la massima garanzia dei controlli. Trovo che sia sciocco oggi chiedersi “sì o o no al petrolio”. Al limite bisognava farlo trent’anni fa. Oggi le estrazioni ce le abbiamo. L’unica cosa che si può fare è ottimizzare quello che c’è, cercando di trarne il massimo vantaggio, chiaramente con le opportune garanzie in termini di salvaguardia ambientale e di salute dei cittadini. E’ quello che chiedo per mio figlio e per le generazioni future». Accanto a lui, il manager della Sering Italia, società che si occupa di sorveglianza per il Centro Oli. Gabriele De Rulli arriva da Torino, in Val d’Agri da circa un anno e mezzo. «Ho seguito mia moglie che è lucana, è qui ho trovato una bella occasione imprenditoriale». La sua è una società dalle piccole dimensioni, ma che rappresenta un esempio positivo: «Ho scelto tutti lucani, professionalmente qualificati, con cui abbiamo messo in piedi una bella realtà». Completamente autonoma, o in qualche modo ispirata da Eni, la manifestazione si chiude con la consapevolezza che si è riusciti nell’intento. Il messaggio alla regione è chiaro: la Basilicata non è fatta solo di coloro che non vogliono più estrazioni.

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