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IL CAVALLO di Troia per le estrazioni lungo le coste dell’Adriatico arriva dalla Croazia, in uno specchio di mare pieno di ordigni inesplosi. Il governo di Zagabria infatti ha concesso 10 licenze di esplorazione e sfruttamento degli idrocarburi ad un tiro di schioppo dalle coste italiane. Lo ha fatto il 2 dicembre, segnalano gli attivisti del Comitato Bonifica di Molfetta, a chiusura di una gara pubblica. Si tratta di una striscia di mare che va da nord a sud, attraversando completamente l’intera costa adriatica. E in buona parte di queste aree, soprattutto sulle concessioni 25 e 26 cedute alla Ina, la compagnia petrolifera di stato della Croazia, da alcune carte nautiche si scopre che sono deposito di ordigni inesplosi probabilmente risalenti all’ultima guerra mondiale.
Oltre a questi due specchi d’acqua assaltati dai petrolieri ci sono altri punti sull’Adriatico Meridionale stracolmi di esplosivi, soprattutto nelle aree concesse alla Global Petroleum Limited a ridosso delle coste pugliesi.
Il rischio è molto alto sotto diversi aspetti, il primo riguarda le prospezioni geologiche che si dovranno fare. Il metodo è già stato largamente sperimentato in tutto il mondo, ed è quello dell’air gun. Per sondare i fondali viene sparata in mare aria compressa, ogni 5-10 minuti.
Le onde riflesse vengono poi raccolte e studiate per capire la composizione del sottosuolo. E la pericolosità, soprattutto per le specie ittiche, è già ampiamente nota. Questi “spari” ad alta pressione infatti hanno un effetto deleterio sulla fauna marina e sono una delle principali ragioni della “rivolta” Jonica contro le estrazioni.
Poi bisognerà fare i conti con le trivellazioni di ricerca e quelle definitive. Eppure gli attivisti pugliesi insistono: «Queste estrazioni probabilmente non sono mai state messe in correlazione con le migliaia di ordigni bellici affondati nelle sottozone di cui si chiede l’indagine e nelle altre zone confinanti.
Si presume, anche, che non siano stati valutati dalle società richiedenti i possibili effetti sinergici e cumulativi sugli ordigni bellici a caricamento chimico e convenzionale, sia delle onde sismiche prodotte dalle ispezioni con air-gun che dalle future perforazioni; e che non ci sia stata alcuna mappatura, prospezione e georeferenziazione degli ordigni inesplosi presenti in quella vastissima area sovrapposta o confinante, non solo con le zone d’indagine interessate alle odierne richieste, ma anche di altre».
In pratica non c’è nulla che possa far capire che tipo di conseguenze potrebbero esserci in caso di estrazioni nella zona.
Ed è per questo che si chiede di bloccare l’inizio delle esplorazioni quantomeno fino a quando i rispettivi governi italiano e croato «non abbiamo verificato la pericolosità di una qualsiasi attività d’indagine per la presenza di ordigni bellici inesplosi in tutte le aree, e sottozone, interessate alla ricerca di idrocarburi.
Lasciamo immaginare cosa accadrebbe se pur una sola bomba fosse casualmente incrociata da una trivella o dall’azione di un potente air-gun, e purtroppo non parliamo di una sola bomba ma di migliaia di bombe sparse a macchia di leopardo in tutto l’Adriatico».
Attualmente le concessioni del governo croato sono state assegnate alla Marathon Oil, Omv, Eni, Medoilgas e Ina.
Il consorzio composto da Marathon Oil e Omv – si legge sul sito della Ola – ha ricevuto il permesso per l’esplorazione e lo sfruttamento di idrocarburi in sette aree di ricerca: 8 nel Nord Adriatico, 10, 11 e 23 nell’Adriatico Centrale, 27 e 28 nell’Adriatico Meridionale.
Il consorzio composto da Eni e MedOilGas ha ricevuto il permesso per l’esplorazione e lo sfruttamento di idrocarburi nella zona di ricerca 9 dell’Adriatico centrale, mentre alla croata Ina è stata concessa una licenza per l’esplorazione e lo sfruttamento di idrocarburi in due aree di esplorazione, la 25 e la 26 nell’Adriatico Meridionale.

v.panettieri@luedi.it

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