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di OMISSIS
E’ stato Thomas Lawrence che fu saggista, archeologo, agente segreto a scrivere che “non c’è nulla di più alto di una croce per potere contemplare il mondo”. Così dentro l’angolo corto e buio del sottotetto della Trinità, dinnanzi al corpo martoriato della povera Elisa, almeno in questo venerdì santo, la chiesa lucana non può che essere chiamata a rispondere alla sua vocazione di verità per scegliere finalmente da che parte stare. Scegliere tra la croce ed il nulla, tanto per raccogliere una felice provocazione che ci ha lanciato Sergio Quinzio, il più apocalittico dei teologi italiani. Eppure nella storia di tutti i giorni accade diversamente. Facilmente questa scelta viene ridotta ad opportunità, ad ipocrisia, perfino a comodità lasciando posto ad un vaniloquio omertoso, ad un balbettio curiale con cui troppo spesso si sono governati imbarazzi e reticenze. E nonostante tutto, almeno per i veri cristiani, rimane in alto come oggetto alla loro contemplazione quella croce, così lontana dagli stucchi barocchi degli altari e dal porporato dei troni e così vicina, invece, ai vinti, agli offesi, alle vittime. Per questo ci pare ancora troppo poco lo sforzo alla parola intrapreso dall’arcivescovo di Potenza, mons. Agostino Superbo in occasione della commovente veglia con i parenti delle vittime delle mafie, accorsi da tutt’Italia a Potenza per la XVI Giornata della memoria e dell’Impegno organizzata da Libera. Del resto non è per caso Dostoevskij stesso ad indicarci la via a questa scelta non più rinviabile tra la croce ed il nulla? Lo scrittore più cristiano che esista, secondo la bella definizione dataci da Nikolaj Berdjaev, è riuscito a portare a maggiore compimento estetico la tensione tra la durezza delle “anime calcificate” che abitano il mondo e il “battesimo di fuoco” promesso a loro salvezza per trasformare come recita Ezechiele cuori di pietra in cuori di carni. Pagine sempre attuali, al di fuori delle quali non esiste una terza via e nemmeno un pensiero di conciliazione. La scelta è perentoria, radicale, incondizionata e riguarda tutti, sacerdoti e cristiani, colpevoli ed innocenti. Indietro nel tempo e a diverse latitudini geografiche dalla Russia di Dostoevskij, ritroviamo il valore estetico di questa scelta in Francia, nella Crocifissione dipinta da Mathis Grunewald, conservata al museo di Colmar, in Alsazia e piena di verticalità teologica e di nuova luce. Qui più che altrove percepiamo tutta l’intensità e l’amarezza del paradosso. Il volto sfigurato di Gesù, il suo corpo piagato e martirizzato rappresentano plasticamente il compimento tragico, radicale, vero di quella scelta. Per Quinzio è un’immagine coraggiosa e paradossale di una salvezza difficile da conquistare, di una promessa di verità e di un compimento di giustizia che invocano finalmente “la forza capace di dire parole vere”. Magari, aggiungiamo noi anche “per spezzare il cerchio” delle complicità.

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