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CATANZARO – Due pentiti lo accusano. Ma si contraddicono. La Procura gli crede e chiede l’arresto per voto di scambio aggravato dalle finalità mafiose. Il gip rigetta e conclude: “Non ci sono a riscontro elementi gravi e concreti”. I magistrati non ci stanno e presentano appello. E adesso il Tribunale del riesame ha fissato la data. Così il prossimo 3 dicembre la posizione del senatore pidiellino Piero Aiello approderà al vaglio dei giudici chiamati a “promuovere” o “bocciare” il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, Abigail Mellace, ha opposto un secco diniego alla richiesta di misura cautelare agli arresti domiciliari che il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Elio Romano, avallato dal procuratore aggiunto, Giuseppe Borrelli, aveva sollecitato per il politico. 

“Perseo” il nome in codice dato all’operazione che, messa a segno dalla Squadra mobile di Catanzaro, al comando di Rodolfo Ruperti, ha messo in ginocchio le cosche operanti a Lamezia Terme, con 66 arresti e 10 indagati a piede libero, trascinando in cella anche l’esponente del Pdl, Giampaolo Bevilacqua, ex consigliere provinciale di Catanzaro, vice coordinatore provinciale del partito e vice presidente (ormai spodestato) della Sacal, la società aeroportuale che gestisce lo scalo di Lamezia Terme. 
Sulla scia delle dirompenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che tirano in ballo nomi altisonanti della politica e dell’imprenditoria. Non risparmiano medici e periti. Avvocati e imprenditori. In un vortice di accuse che i magistrati della Dda di Catanzaro fanno proprie e trasformano in una miscela esplosiva dagli effetti dirompenti. E la loro tesi tiene davanti al gip. Eccezion fatta per il senatore Aiello, che alle elezioni regionali del 2010 avrebbe conquistato lo scranno di Palazzo Campanella anche grazie ai voti delle cosche lametine. Agli oltre 2000 voti che i due pentiti raccontano di aver raccolto tra gli affiliati, sulla base di una promessa di aiuti futuri ricevuta, però, non da Aiello, ma dall’avvocato che organizzò un incontro “elettorale” nel proprio studio. Un incontro (forse due, stando ad una successiva versione), avvenuto nello studio dell’avvocato Giovanni Scaramuzzino e ricostruito ai magistrati dal boss Giuseppe Giampà e da uno dei componenti di punta del clan, Saverio Cappello, entrambi divenuti collaboratori di giustizia. Incontri, peraltro, promossi dal padre dell’avvocato, che era primario dell’ospedale di Lamezia Terme, e nel corso dei quali il politico avrebbe chiesto il sostegno elettorale per le elezioni regionali del 2010, dove è risultato il primo degli eletti nella lista del Pdl. E’ questa la contestazione del voto di scambio mossa nei confronti del senatore Aiello, al quale però l’avvocato Scaramuzzino, stando al racconto degli stessi pentiti, non avrebbe specificato chi avesse di fronte, limitandosi a presentarli come i numeri 1 di Lamezia Terme, in grado di procacciargli molti voti, in cambio dei quali, peraltro, sempre stando allo stesso raccontato dei pentiti, Aiello non avrebbe fatto alcuna promessa di sorta. 
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