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REGGIO CALABRIA – I Carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Reggio Calabria stanno eseguendo, in Calabria, Veneto e Francia, un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia reggina, nei confronti di 24 indagati per associazione mafiosa, turbata libertà degli incanti, intestazione fittizia di beni e sottrazione di cose sottoposte a sequestro, con l’aggravante delle finalità mafiose. Tra le persone arrestate ci sono due avvocati ritenuti molto vicini alla cosca. Si tratta dei legali Giulia Dieni e Giuseppe Putortì. In manette anche l’imprenditore Matteo Alampi, ritenuto elemento di spicco della cosca di ‘ndrangheta omonima di Reggio Calabria. Alampi è stato arrestato in Francia insieme alla moglie Maria Giovanna Siclari. Anche l’ex sindaco di Calanna, Luigi Catalano, è stato arrestato (gli sono stati concessi i domiciliari). Le indagini, infatti, hanno evidenziato interventi illeciti relativi all’aggiudicazione dei lavori per la bonifica e la successiva riapertura della discarica sita nel Comune di Calanna, ottenuta con la compiacenza dell’ex sindaco Catalano, che – dagli elementi acquisiti – avrebbe fatto redigere dall’ufficio tecnico comunale un bando di gara, con parametri che sarebbero stati concordati con i vertici dell’impresa mafiosa. All’ex sindaco, comunque, non è stato contestato alcun reato di tipo mafioso.

LEGGI I NOMI DI TUTTE LE PERSONE COINVOLTE

LA FUGA IN COSTA AZZURRA – È stato rintracciato dal servizio regionale della Polizia giudiziaria di Nizza e dai Carabinieri del Ros, grazie al servizio di cooperazione Interpol. Alampi si era rifugiato sulla Costa Azzurra, a Villefranche sur mer, per sottrarsi alla notifica della sorveglianza speciale dopo la scarcerazione avvenuta lo scorso mese di marzo. Le forze di polizia gli hanno notificato il mandato di arresto europeo emesso dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria per associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. 

VIDEO: L’INTERCETTAZIONE TRA L’AVVOCATO E L’INGEGNERE

Matteo Alampi è ritenuto la mente imprenditoriale dell’organizzazione criminale, già capeggiata dal padre Giovanni Alampi, quest’ultimo tratto in arresto nel 2010 nel corso dell’operazione “Il crimine”, che ne aveva delineato il ruolo di capo del “locale” di Trunca, attivo nell’omonima frazione del capoluogo reggino.

L’INTERCETTAZIONE: ANELLO “TEMPESTATO” PER L’AVVOCATESSA

Secondo l’operazione “Rifiuti Spa 2”, è proprio la cosca Alampi di Reggio Calabria il gruppo criminale che avrebbe controllato gli affari. Gli Alampi, federati con il gruppo dei Libri, rappresentano da sempre una cosca «imprenditrice», con forti interessi economici in tutta Italia e all’estero, soprattutto nel settore dei rifiuti, ma anche in altri contesti.

VIDEO: IL COLLOQUIO IN CARCERE TRA IL BOSS E IL PADRE

Al centro delle indagini del Ros, le infiltrazioni della ‘ndrangheta nel settore degli appalti ecologici, nel cui ambito sono stati accertati gli accordi tra le cosche reggine per la spartizione degli enormi profitti derivanti dalla gestione fraudolenta delle discariche regionali. 

LE IMPRESE SEQUESTRATE – Documentato, anche, il controllo da parte degli indagati di imprese già sequestrate alla cosca con la complicità di un amministratore giudiziario, Rosario Spinelli, anch’egli destinatario di un provvedimento restrittivo. Sequestrati beni aziendali e quote societarie per un valore complessivo di 18 milioni di euro. Nello specifico, si tratta di cinque aziede: la Rossato Sud srl con sede a Reggio; il Consorzio stabile Airone Sud srl con sede a Reggio; l’impresa individuale Galimi Giuseppe con sede a Palmi; la P&O srl con sede a Cosoleto; la Cogemer srl con sede a San Ferdinando (VIDEO: IL SEQUESTRO DELLE AZIENDE).

AVVOCATI EMISSARI – Per quanto riguarda la posizione dei due avvocati, si sarebbero prodigati oltre la difesa tecnica nei confronti degli esponenti della cosca Alampi consentendo agli indagati di continuare a nutrire interessi materiali sulle aziende sequestrate. Avrebbero, a questo scopo, veicolato informazioni dal carcere. Entrambi devono rispondere dell’accusa di associazione mafiosa. Gli studi legali e le abitazioni dei due professionisti reggini sono stati perquisiti.

LE ASSUNZIONI FITTIZIE – L’inchiesta ha anche accertato l’intraneità della cosca Alampi alla ‘ndrangheta reggina ed il ruolo preminente rivestito nell’ambito della locale di “Trunca”, piccola periferia reggina. In particolare è stata accertata una forza di intimidazione e una capacità di controllo del territorio forte dei legami diretti con alcune delle cosche più significative del “mandamento di centro”, come le cosche Condello e Rosmini. In tale ambito, infatti, sono state documentate le assunzioni fittizie, in seno alla “Rossato Sud”, di Francesco Domenico Condello, figlio dell’ex superltatitante Pasquale Condello detto “Il Supremo”, e di Diego Rosmini, figlio di Demetrio. 

IL PROCURATORE E I BENI SEQUESTRATI – «L’operazione odierna ripropone urgentemente le modalità di gestione e di affidamento dei beni sequestrati o confiscati alla ‘ndrangheta e che il nuovo modello di gestione informatico messo a punto dall’Agenzia nazionale dei beni confiscati contenga anche l’elenco dei custodi giudiziari, il numero degli incarichi ricevuti, molto spesso “intuitu personae”, e non a seguito di un’analisi delle specializzazioni e dell’efficienza dei curatori medesimi». A dirlo è stato il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho commentando l’operazione.

«La ndrangheta – ha aggiunto – dimostra la facilità di infiltrazione anche in imprese sane, come nel caso della “Rossato Sud”, condizionandone la guida mettendovi a capo
persone di propria fiducia. In questo caso, abbiamo assistito a un travaso di beni materiali e immateriali nella parte sana della Rossato da parte del gruppo Alampi, fino a condizionarne le energie. Tutto ciò, con operazioni di sovrafatturazione per creare capitali in ‘nerò e soddisfare così anche le esigenze di cosche della ‘ndrangheta come gli Alvaro, i Gallico, i Libri, i Condello, intimidendo e blandendo, a seconda i casi».

«Altro elemento grave emerso dal lavoro investigativo dei carabinieri del Ros – ha proseguito De Raho – è il ruolo assunto dai due penalisti, gli avvocati Putortì e Dieni, che si erano assunti l’onere di trasferire all’esterno del circuito carcerario i programmi e i desiderata del loro assistito, Matteo Alampi, che anche dal carcere continuava a governare il suo gruppo impartendo ordini e direttive ai famigliari».

Il comandante del Ros, generale Mario Parente, nel suo intervento, ha sottolineato «l’atteggiamento di basso profilo rispetto al complesso delle dinamiche criminali a Reggio Calabria, assunto da Matteo Alampi, che è riuscito a coinvolgere nelle sue strategie criminali professionisti apparentemente estranei a logiche criminali».

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