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POTENZA – Armi in cambio di droga dagli “amici” di Vibo Valentia per il suo “gancio” nel porto di Gioia Tauro: l’uomo chiave per i traffici di cocaina dal Sud America. Dieci Kalashnikov, 2 mitragliette Scorpion e 5 pistole calibro 9 semiautomatiche. Un’affare talmente delicato da scomodarsi in prima persona col fratello Giacomo, sceso da Policoro per trattare con i fornitori. Mentre lui, Filippo Solimando, era già nel luogo stabilito per lo scambio, quando qualcosa deve averlo insospettito e si è dileguato. Poco prima che i finanzieri uscissero allo scoperto.
Era destinato ad Alfredo Brandimarte l’arsenale sequestrato a marzo dell’anno scorso a Rizziconi, poco lontano dal principale terminal marittimo della provincia di Reggio Calabria. Ex dipendente del porto come il fratello Giuseppe, scampato a una pioggia di proiettili nel 2011, e arrestato due anni dopo nell’ambito dell’inchiesta sulla scia di sangue che ne è seguita.
Da allora Giuseppe viaggiava su un auto blindata, e la scorsa estate, quando i finanzieri sono andati ad arrestare anche Alfredo, nella sua splendida villa di Gioia Tauro, hanno scoperto un cunicolo dietro il contatore del gas che doveva servirgli per nascondersi in caso di emergenza. Ma a dicembre non hanno potuto far nulla per un altro fratello, Michele, pluripregiudicato 53enne. Colpito a morte nel centro di Vittoria da un compaesano di trent’anni più giovane in trasferta come lui nel ragusano, che qualche ora dopo si è consegnato alla polizia confessando di aver sparato per una banale lite di strada.
Gli inquirenti dell’antimafia di Catanzaro, che hanno condotto le indagini sugli affari di Solimando e del clan degli zingari di Corigliano, non spiegano se quelle armi sarebbero servite per colpire un «imprecisato obiettivo istituzionale», come ipotizzato in un primo momento dai colleghi reggini, o i rivali dei fratelli Brandimarte, individuati in un’altra famiglia di Gioia Tauro imparentata col potente clan dei Piromalli, storici padrini del porto.
Ma l’ombra della faida è pesante, con i traffici illeciti nello scalo preferito dalla ‘ndrangheta a fare da sfondo, e un’alleanza militare tra i Brandimarte, gli zingari e i loro amici “armieri”, considerati vicini al clan la ‘ndrina vibonese dei Lo Bianco. Alleanza che arriva fino a Policoro, dove Solimando avrebbe trasferito la «base operativa» dei giri milionari di stupefacenti del clan degli zingari di Cassano allo Jonio.
Di fatto la fornitura di armi per il socio in affari del boss calabro-lucano, sarebbe stata negoziata a Vibo Valentia appena 4 giorni prima il sequestro di Rizziconi, quando è partito l’ordine da Corigliano per il fratello Giacomo, che da Policoro si è precipitato a casa di Angelo Andracchi «un importante pregiudicato» del posto, che all’epoca si trovava agli arresti domiciliari, ma continuava a gestire i suoi affari da lì. Come se niente fosse.
Armi in cambio di eroina, secondo gli inquirenti, che per questo hanno piazzato una telecamera davanti casa Andracchi e hanno filmato diverse visite di Giacomo Solimando. Anche in compagnia del suo «alter ego» Giovambattista Serio, sempre di Policoro, fermato coi fratelli Solimando nel blitz di lunedì mattina.
Andracchi è chi contatta l’armiere che i finanzieri avrebbero arrestato a Rizziconi, Marino Belfiore, un 34enne incensurato di Gioia Tauro proprio come Brandimarte, e definisce i termini dello scambio. Poi è Belfiore ad andare a Corigliano dove avrebbe incontrato Filippo Solimando, che a distanza di qualche ora ricontatta Brandimarte per aggiornarlo via chat sulla trattativa: «il grante 17, il picolo 14 o fato 10 e 5 e due fischieti amo».
Per il Kalashnikov 1.700 euro, 1.400 per pistole e mitragliette Skorpion. Traducono gli investigatori. Per un ordine complessivo di 10, 5 e 2, che «collima perfettamente con quanto sequestrato dai finanzieri». Annotano i pm dell’antimafia di Catanzaro.

l.amato@luedi.it

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