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Caro Direttore,
sono rimasta sinceramente sbigottita nel vedermi “sbattuta” in prima pagina per essere sacrificata nella quotidiana liturgia demonizzatrice del ceto politico, alla quale neppure il Suo giornale riesce a sottrarsi.
Com’è possibile, mi sono chiesta, che possa essere montata una rappresentazione tanto palesemente mistificatoria ai miei danni, senza alcun onesto accertamento dei termini della questione e con una violenta invasione della sfera riservata delle mie vicende personali (un momento difficilissimo, un intervento chirurgico delicatissimo, che ancora ricordo con sofferenza)?
E cosa centra la vulgata sulla casta, che pure ha taluni fondamenti, con i profili della riservatezza personale?
Eppure, non sarebbe stato difficile inquadrare correttamente il caso; riferire che si tratta di un riconoscimento espressamente previsto dalla legge regionale n. 38 del 2002, già applicata nel corso degli anni, che consente appunto l’anticipazione del riconoscimento del diritto previdenziale maturato nel caso di malattie invalidanti contratte in relazione agli impegni istituzionali; e precisare che gli estremi contemplati dalla legge sono stati certificati da un qualificato collegio medico.
Eppure, sarebbe stato doveroso spiegare che la deliberazione del riconoscimento della invalidità non produce nel caso di specie nessun effetto immediato, e potrebbe non produrne mai, perché tale riconoscimento è legato al termine dell’attività istituzionale a qualsiasi titolo e livello svolta. Cioè, non dà diritto ad un vitalizio che non spetta, nè ad un vitalizio maggiorato, bensì prevede che il beneficio maturato venga erogato in anticipo solo ove l’attività istituzionale termini prima dell’età prevista dalla legge.
Del resto, chiamo in causa la Sua onestà intellettuale a giudicare se può essere considerato privilegiato l’iter di una richiesta avanzata il 28 settembre 2008, sottoposta al vaglio di un collegio medico nominato il 10 novembre 2009, che ha rassegnato il suo referto pro veritate il 27 aprile 2010.

E’ troppo chiedere ai giornalisti un atteggiamento di maggiore attenzione e rispetto, soprattutto quando l’ansia della facile denuncia, fa strame della delicatezza dei dati personali esposti al pubblico ludibrio?
Distinti saluti.

Sen. Maria Antezza

La replica del Direttore

Egregia senatrice
Ritengo di non aver attuato nessuna mistificazione nei suoi confronti ma attuato un diritto di cronaca riportando notizie pubbliche (tale è una riunione dell’ufficio di presidenza e dei capigruppo del Consiglio regionale) su un personaggio istituzionale quale sicuramente Lei concorderà di essere.
Non abbiamo fornito nessun dato sensibile legato alla sua sfera privata considerato che abbiamo parlato di “causa di servizio nei confronti dell’ente regionale per una vicenda verificatasi durante una missione al tempo in cui era presidente del Consiglio”. Mi sembra che la cronaca sia stata attenta, sensibile e volutamente generica sui particolari. Quindi non c’è stato stillicidio di dati personali.
Lei mi chiede retoricamente se la sua condizione sia nel privilegio. Senatrice, lei che è autorevole esponente del centrosinistra, parte politica legata al mondo del lavoro, ha provato a chiedersi se un’operaia dalla Fiat mandata in trasferta a montare pezzi in altra fabbrica e vittima della sua stessa patologia a causa di qualche alimento mangiato in mensa aziendale può oggi vantare i suoi giusti diritti e nelle stesse cifre?
Per chi fa politica e rappresenta i cittadini esistono anche i motivi dell’opportunità in un momento storico in cui le donne normali, pur alle prese con il gravoso lavoro di cura in casa, saranno costrette ad andare in pensione a 65 anni. Forse qualcosa non va in questo Paese mai diventato normale anche a causa di una classe dirigente che invece di occuparsi del bene comune è troppo distratto dai piazzamenti interni di sorelle e cognati e che solo grazie a quei ficcanasi dei giornalisti rinunciano alle doppie indennità.
Cordialmente PARIDE LEPORACE

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