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RICEVIAMO e pubblichiamo questa lettera a firma di Giuseppe Ferrara, di origini lucane, che oggi vive a Ferrara, dove lavoro come ricercatore di una multinazionale della chimica:
Lo so – ogni lucano lo sa – è difficile raggiungere la Basilicata. Lo è stato un tempo quando studiavo fuori regione e lo è ancora oggi, dopo 25 anni da allora, quando mi sposto dalla città dell’Emilia dove vivo e lavoro per raggiungere la mia terra durante le feste di Natale o le vacanze estive. 
Ma quello che mi preoccupa è sapere se, domani, sarà più facile o ancora più difficile raggiungere la Basilicata e, soprattutto,  ritrovare il suo cuore.
Un tempo per arrivare al cuore della Basilicata, per raggiungerla davvero, non era necessario fare un viaggio “coast to coast”, bastava salire, alzare lo sguardo verso l’alto e puntare gli occhi su quel cielo specchiato, incontaminato dalle troppe luci, fuochi fatui, aurore boreali di plastica -che stazionano sulle torri, le trivelle e le torce – dai vapori e dalle nebbie azzurrine e sinistre. 
Un tempo quando si arrivava a Castelmezzano si aveva l’impressione di essere piombati nella Contea Baggins. 
Oggi quando si vuole raggiungere Corleto o un qualunque altro centro oleoso sembra di essere nel Regno di Mordor. 
Ma non ci sono alberi che ci aiuteranno, non più fiumi che spazzeranno via tutto.
Da tempo i lucani hanno abbandonato la loro terra. Ed io sono tra questi, anche se l’ho fatto solo fisicamente. 
Ma sarà per questo, per questa mia distanza spaziale e temporale dalla Basilicata che posso assaporare e sperimentare il ricordo, la memoria o per meglio dire , la proustiana recherche; sarà perché ormai da 25 anni vivo a Ferrara in una città murata con il suo bel castello al centro che avverto, oggi più che mai, la mancanza del Castello di Potenza delle sue mura, delle sue torri  abbandonate, distrutte e poi dimenticate; sarà perché vivo in una città situata sotto il livello del mare e sorvolata da aironi cinerini che avverto la mancanza delle guglie di Pietrapertosa e il volo dello sparviero.
Un ricordo è solo un riportare al cuore qualcosa che si è vissuto e di cui si può non avere memoria cioè conservazione in uno dei cassetti della mente come acqua minerale inerte nelle viscere della terra, ma la recherche che sperimento è qualcosa di vivo paragonabile al vino e ai suoi enzimi che continuano il loro lavorio, la loro trasformazione.
E’ da questa insolita posizione dell’animo che mi preoccupa il futuro della mia terra. La perdita del suo cuore mi preoccupa più di quella delle mura e del suo antico castello. 
In una lucida ed efficace immagine che prendo da Bloch, noi lucani stiamo dimenticando “l’eredità del presente”. 
Ereditare il presente vuol dire riappropriarsi di un pezzo di passato che non ha avuto voce o che, se ha parlato, non è stato ascoltato se era visibile non è stato visto; vuol dire riappropriarsi di un passato cancellato e dimenticato fatto di cieli specchiati, di borghi inaccessibili e mitici, di coste brevi ansiose e vibranti o più estese e placide, di una natura, cioè, che continua ancora a dirci che lei è ancora lì a fianco della modernità, del futuro della cosiddetta Civiltà delle Macchine (inviterei a leggere la lettera che Ungaretti scrisse a Sinisgalli per il primo numero della rivista ideata e realizzata dal nostro Poeta-Ingegnere). 
La natura ci dice: sono ancora qui (per quanto mi domando) a dispetto del machismo tecnologico, del fascismo economico a dispetto di questo sfruttamento compulsivo e dell’irreversibile alienazione di terra, acqua e aria.
Prima ancora di una evidente necessità abbiamo sostituito un cuore pulsante con un cuore artificiale, gioiello della Scienza e della Tecnica, senza renderci conto se il sistema venoso e arterioso  del paziente fosse in condizioni di supportare l’esuberanza di questo nuovo battito, la viscosità di un sangue nero.
C’è un paesaggio arcaico, una storia che viene da lontano, la storia di migrazioni di popoli (che non possono essere fermate da leggi), di glaciazioni e modifiche lentissime di terreni alluvionali (che non possono essere regolate da teorie), una storia dunque che ha ben poco a che vedere  con quella recentissima di 25 anni fatta di cementificazione del capoluogo lucano (lo snodo di Gallitello. Snodo! sic), lo sfruttamento, la dispersione, l’inquinamento di terra, acqua e aria, la concessione -Calvario e la trivellazione-Crocefissione in Val D’Agri. 
Quello che bisogna capire al più presto è che, anche qui, in Basilicata, la Storia non è fatta tutta dallo sviluppo della tecnica. Si deve ampliare l’idea di storia e pensare che non siamo solo noi, esseri umani, a fare la Storia, ma ad essa partecipa anche la sconosciuta, ormai invisibile e dimenticata natura ed il problema quindi non è tanto sulla imperfezione dei mezzi, come diceva Einstein, ma sull’ambiguità dei fini.
A proposito dei mezzi oggi l’uomo dispone di conoscenze e tecnologie per effettuare e portare a termine opere eccezionali, in tutta sicurezza, nel rispetto della salute e dell’ambiente. 
Se quindi sgombriamo il campo dalle ambiguità dei fini e puntiamo solo al fine unico di salvaguardare prima di tutto la Natura nelle sue declinazioni più importanti cioè salute e ambiente, allora ci sarà futuro per la nuova giunta regionale , da poco insediata, per i lucani e per la loro terra.
Tornerò ancora, come sempre, in Basilicata con tutte le difficoltà che questo comporta. Imboccherò ancora una delle sue strade d’accesso: quella che da Foggia conduce verso il Vulture e poi più su verso Potenza o quella che dagli Alburni ti risucchia nella valle del Basento o quell’altra ancora che dalle Murge ti perde nel labirinto dei sassi di Matera. 
Spero di tornare ancora tante volte in Basilicata e qui arrivato, alzare gli occhi al cielo e sentire ancora  il suo battito.
RICEVIAMO e pubblichiamo questa lettera a firma di Giuseppe Ferrara, di origini lucane,
che oggi vive a Ferrara, dove lavoro come ricercatore di una multinazionale della chimica.

 

Lo so – ogni lucano lo sa – è difficile raggiungere la Basilicata. Lo è stato un tempo quando studiavo fuori regione e lo è ancora oggi, dopo 25 anni da allora, quando mi sposto dalla città dell’Emilia dove vivo e lavoro per raggiungere la mia terra durante le feste di Natale o le vacanze estive. 

Ma quello che mi preoccupa è sapere se, domani, sarà più facile o ancora più difficile raggiungere la Basilicata e, soprattutto,  ritrovare il suo cuore.

Un tempo per arrivare al cuore della Basilicata, per raggiungerla davvero, non era necessario fare un viaggio “coast to coast”, bastava salire, alzare lo sguardo verso l’alto e puntare gli occhi su quel cielo specchiato, incontaminato dalle troppe luci, fuochi fatui, aurore boreali di plastica -che stazionano sulle torri, le trivelle e le torce – dai vapori e dalle nebbie azzurrine e sinistre. Un tempo quando si arrivava a Castelmezzano si aveva l’impressione di essere piombati nella Contea Baggins. Oggi quando si vuole raggiungere Corleto o un qualunque altro centro oleoso sembra di essere nel Regno di Mordor. 

Ma non ci sono alberi che ci aiuteranno, non più fiumi che spazzeranno via tutto.Da tempo i lucani hanno abbandonato la loro terra. Ed io sono tra questi, anche se l’ho fatto solo fisicamente. 

Ma sarà per questo, per questa mia distanza spaziale e temporale dalla Basilicata che posso assaporare e sperimentare il ricordo, la memoria o per meglio dire , la proustiana recherche; sarà perché ormai da 25 anni vivo a Ferrara in una città murata con il suo bel castello al centro che avverto, oggi più che mai, la mancanza del Castello di Potenza delle sue mura, delle sue torri  abbandonate, distrutte e poi dimenticate; sarà perché vivo in una città situata sotto il livello del mare e sorvolata da aironi cinerini che avverto la mancanza delle guglie di Pietrapertosa e il volo dello sparviero.

Un ricordo è solo un riportare al cuore qualcosa che si è vissuto e di cui si può non avere memoria cioè conservazione in uno dei cassetti della mente come acqua minerale inerte nelle viscere della terra, ma la recherche che sperimento è qualcosa di vivo paragonabile al vino e ai suoi enzimi che continuano il loro lavorio, la loro trasformazione.

E’ da questa insolita posizione dell’animo che mi preoccupa il futuro della mia terra. La perdita del suo cuore mi preoccupa più di quella delle mura e del suo antico castello. In una lucida ed efficace immagine che prendo da Bloch, noi lucani stiamo dimenticando “l’eredità del presente”. 

Ereditare il presente vuol dire riappropriarsi di un pezzo di passato che non ha avuto voce o che, se ha parlato, non è stato ascoltato se era visibile non è stato visto; vuol dire riappropriarsi di un passato cancellato e dimenticato fatto di cieli specchiati, di borghi inaccessibili e mitici, di coste brevi ansiose e vibranti o più estese e placide, di una natura, cioè, che continua ancora a dirci che lei è ancora lì a fianco della modernità, del futuro della cosiddetta Civiltà delle Macchine (inviterei a leggere la lettera che Ungaretti scrisse a Sinisgalli per il primo numero della rivista ideata e realizzata dal nostro Poeta-Ingegnere). 

La natura ci dice: sono ancora qui (per quanto mi domando) a dispetto del machismo tecnologico, del fascismo economico a dispetto di questo sfruttamento compulsivo e dell’irreversibile alienazione di terra, acqua e aria.Prima ancora di una evidente necessità abbiamo sostituito un cuore pulsante con un cuore artificiale, gioiello della Scienza e della Tecnica, senza renderci conto se il sistema venoso e arterioso  del paziente fosse in condizioni di supportare l’esuberanza di questo nuovo battito, la viscosità di un sangue nero.

C’è un paesaggio arcaico, una storia che viene da lontano, la storia di migrazioni di popoli (che non possono essere fermate da leggi), di glaciazioni e modifiche lentissime di terreni alluvionali (che non possono essere regolate da teorie), una storia dunque che ha ben poco a che vedere  con quella recentissima di 25 anni fatta di cementificazione del capoluogo lucano (lo snodo di Gallitello. Snodo! sic), lo sfruttamento, la dispersione, l’inquinamento di terra, acqua e aria, la concessione -Calvario e la trivellazione-Crocefissione in Val D’Agri. 

Quello che bisogna capire al più presto è che, anche qui, in Basilicata, la Storia non è fatta tutta dallo sviluppo della tecnica. Si deve ampliare l’idea di storia e pensare che non siamo solo noi, esseri umani, a fare la Storia, ma ad essa partecipa anche la sconosciuta, ormai invisibile e dimenticata natura ed il problema quindi non è tanto sulla imperfezione dei mezzi, come diceva Einstein, ma sull’ambiguità dei fini.

A proposito dei mezzi oggi l’uomo dispone di conoscenze e tecnologie per effettuare e portare a termine opere eccezionali, in tutta sicurezza, nel rispetto della salute e dell’ambiente. 

Se quindi sgombriamo il campo dalle ambiguità dei fini e puntiamo solo al fine unico di salvaguardare prima di tutto la Natura nelle sue declinazioni più importanti cioè salute e ambiente, allora ci sarà futuro per la nuova giunta regionale , da poco insediata, per i lucani e per la loro terra.

Tornerò ancora, come sempre, in Basilicata con tutte le difficoltà che questo comporta. Imboccherò ancora una delle sue strade d’accesso: quella che da Foggia conduce verso il Vulture e poi più su verso Potenza o quella che dagli Alburni ti risucchia nella valle del Basento o quell’altra ancora che dalle Murge ti perde nel labirinto dei sassi di Matera. Spero di tornare ancora tante volte in Basilicata e qui arrivato, alzare gli occhi al cielo e sentire ancora  il suo battito.

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