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C’ERANO i bambini, il marito e l’intera famiglia di Giusy Nigro, la 24enne di Melfi morta appena dimessa dall’ospedale San Carlo di Potenza dove era stata ricoverata per una lombosciatalgia. I familiari di Regiane, 27enne di origini brasiliane deceduta all’ospedale di Melfi dopo il parto.
Questi tra i casi che hanno fatto più clamore mediatico e per i quali sono state aperte anche inchieste giudiziarie. Ma sono tante le storie di malasanità raccontate ieri al corteo promosso da una parente delle vittime lucane. Si chiama Valeria e la madre, Addolorata Priore, ha perso la vita a maggio 2013 in seguito a un incidente stradale, o almeno questa è stata la causa secondo la magistratura che dopo un anno dall’accaduto ha archiviato il caso.
Addolorata viene investita da un’auto in viale Firenze e ricoverata al San Carlo di Potenza in Traumatologia per trauma cranico e frattura scomposta di tibia e perone. Ha 67 anni ed è in salute, non ha particolari patologie. La notte del ricovero avverte un forte dolore addominale che, per gli infermieri che l’assistono in quell’occasione, non è nulla di urgente tanto da allertare il medico di guardia. Il mattino seguente i dolori persistono e le ordinano una tac. Il risultato è un ematoma subdorale acuto. La operano dopo un paio d’ore e l’intervento chirurgico, di circa 5 ore, secondo i medici è ben riuscito. Durante la notte Addolorata sta di nuovo male. I familiari, nonostante abbiano più volte ribadito di voler essere avvisati in caso di necessità, trovano il giorno seguente la donna ricoverata in Rianimazione per una crisi respiratoria.
In quel reparto ci resterà per sei giorni, durante i quali i medici le riscontreranno 4 batteri, mai debellati. Da quel momento la situazione precipita: svariate complicazioni e l’ulteriore operazione in labaroscopia all’addome alla quale i familiari si oppongono ma senza riscontro dei medici.
Appena un quarto d’ora d’intervento – non fanno in tempo nemmeno a farle l’anestesia secondo il racconto della figlia – e la donna ha un arresto cardiaco. Addolorata non ce la fa. I familiari sporgono denuncia. Troppe le cose che non tornano a loro dire. Il ritardo nella diagnosi rispetto all’ematoma addominale, il riscontro della presenza di questi 4 batteri in rianimazione e non prima, quando la donna arriva al pronto soccorso.
«Il caso di mia madre – dice – si deve riaprire. Chiedo solo giustizia». La chiede per lei e per tutti i familiari che si trovano in una situazione simile. Come Lidia, che si è rivolta ad un avvocato per vederci chiaro sulla scomparsa della madre, ricoverata in psichiatria e liquidata con la prescrizione di ansiolitici per dolori addominali che in realtà erano dovuti a un tumore scoperto poco dopo, in seguito a una Tac effettuata quando ormai il male aveva preso il sopravvento. E questo dopo un ricovero ospedaliero al San Carlo durato sette giorni.
A questo scopo, proprio oggi, si costituirà l’associazione lucana per le vittime di malasanità. “Onore, rispetto e giustizia”, come il gruppo Facebook che ha cercato di riunire e intercettare i familiari delle vittime di malasanità e che ha dato vita alla manifestazione di ieri. Una cinquantina in tutto hanno sfilato per la città con camici bianchi macchiati da impronte di mano di vernice rossa e striscioni.
«Pochi, troppo pochi – commenta Valeria – Ci aspettavamo una maggiore partecipazione della città, che ancora una volta si dimostra omertosa e indifferente». Di contro, però, il gruppo appena costituito riesce a infondere coraggio, a trasformare la rabbia «che in questi casi purtroppo – commenta Valeria – è più forte del dolore» in solidarietà, impegno civile: l’associazione, infatti, avrà lo scopo di aiutare i familiari che devono affrontare tali tragedie a trovare subito avvocati di gratuito patrocinio e medici legali.

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