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di ANTONELLO GRASSI
E se fosse proprio vero che è Matera – non Napoli, non Palermo, non Bari – a indicare a tutto il Sud la strada di un possibile, finalmente concreto, sviluppo fondato sulla cultura? E che qui possa prender corpo – dopo tante chiacchiere – l’idea di una crescita fondata sull’intreccio virtuoso di memoria e innovazione? E che, insomma, tra i Sassi si realizzi quel che non è riuscito nell’antica capitale, nella Napoli del rinascimento bassoliniano in cui i Grandi si diedero convegno per affrontare i problemi del mondo?  
E sarà poi vero che, come afferma qui a fianco Eric Jozsef,  corrispondente da Roma di Liberation, uno che l’Italia la conosce bene ché ci sta da vent’anni, “che Matera è un modello al quale deve guardare l’intero continente?”.
Non lo sappiamo. Ciò che invece sappiamo è che, come mai prima nella sua lunga vicenda, Matera si trova ad affrontare, da protagonista, un passaggio decisivo non soltanto della sua storia, ma – come rileva Josezf – della stessa storia d’Europa.  Un’Europa, per giunta, che ha  proprio nel suo Sud, nei Paesi del Mediterraneo – è sempre Josezf a ricordarcelo – nodi praticamente irresolvibili. 
Di tali grandi interrogativi Matera, per ora, non sembra farsi carico. La città, in questa sua lunga Primavera, appare febbrile come non mai. I Sassi? Un cantiere a cielo aperto. Dovunque convegni, iniziative, dibattiti. Qua una Festa del cinema: grandi film a prezzi ridotti. Là una troupe di giovani cineasti impegnata a girare. Fiumane di turisti – inglesi, francesi, tedeschi – sciamano tra le sue pietrose viuzze ritrovandovi, forse, il senso di un’identità che sembrava irrimediabilmente perduta. Perché questa è la reale forza di Matera: donare ai suoi visitatori, da qualunque parte vengano, la coscienza del passato della città e, insieme, del loro stesso passato. La vocazione davvero cosmopolita della città è nella sua capacità di parlare allo stesso modo al turista europeo o giapponese. Eccola la lezione profonda che giunge dai Sassi, il messaggio che Matera consegna a un’Europa che l’unità l’ha proclamata soltanto a parole; e in cui, anzi, alle crescenti tensioni nazionalistiche, e perfino regionali, si mescola il risentimento di popoli che vedono tragicamente compromesso il proprio futuro. 
Ma torniamo alla domanda iniziale. E’ possibile, in mezzo a questi venti di crisi, che Matera, anziché limitarsi ad essere un simbolo, possa indicare una via di sviluppo per tutto il Mezzogiorno? Le parole, e il fallimento bassoliniano sta lì a dimostrarlo, non servono. La risposta è tutta nel protagonismo che, in questa primavera materana, sembra caratterizzare la città a discapito di una storia ultramillenaria fatta in gran parte di miseria e violenza subite. Quale che sia il destino dell’Europa, infatti, una cosa è certa: il Mezzogiorno potrà risollevarsi, e riconquistare il ruolo che gli spetta  nel contesto internazionale, soltanto se saprà riprendere in mano il proprio destino; e se saprà rinunciare a un abito mentale che per tanti, troppi anni, ne ha fatto un soggetto rinunciatario e puramente rivendicativo del Paese. Non è vero che la congiuntura storica è sfavorevole. O meglio: non conta che lo sia. Se i popoli europei non possono più permettersi di delegare alle elites il proprio destino, ciò è tanto più vero per il nostro Mezzogiorno. Chiusi in un discorso che non riesce ad andare al di là dei confini europei, si finisce scioccamente per credere che i mali di Bruxelles siano i mali del mondo. Ma non è così. Mentre l’Europa langue nella sua armatura economica, in attesa di una strategia politica, altre parti del globo crescono e si va ridefinendo il quadro geopolitico internazionale. E chissà che non sia qui, nel Mediterraneo, il segreto, e forse la soluzione, della crisi in cui ci dibattiamo; in questo mare su cui si affaccia un gigante, Madre Africa; e nel quale simuovono masse di capitali cinesi, arabi e russi. Chissà, insomma, che questa voglia di protagonismo con cui si è svegliata Matera non finisca per contagiare tutto il Sud. E che un’altra storia possa davvero cominciare.

E se fosse proprio vero che è Matera – non Napoli, non Palermo, non Bari – a indicare a tutto il Sud la strada di un possibile, finalmente concreto, sviluppo fondato sulla cultura? E che qui possa prender corpo – dopo tante chiacchiere – l’idea di una crescita fondata sull’intreccio virtuoso di memoria e innovazione? E che, insomma, tra i Sassi si realizzi quel che non è riuscito nell’antica capitale, nella Napoli del rinascimento bassoliniano in cui i Grandi si diedero convegno per affrontare i problemi del mondo?  E sarà poi vero che, come afferma qui a fianco Eric Jozsef,  corrispondente da Roma di Liberation, uno che l’Italia la conosce bene ché ci sta da vent’anni, “che Matera è un modello al quale deve guardare l’intero continente?”.Non lo sappiamo. Ciò che invece sappiamo è che, come mai prima nella sua lunga vicenda, Matera si trova ad affrontare, da protagonista, un passaggio decisivo non soltanto della sua storia, ma – come rileva Josezf – della stessa storia d’Europa.  Un’Europa, per giunta, che ha  proprio nel suo Sud, nei Paesi del Mediterraneo – è sempre Josezf a ricordarcelo – nodi praticamente irresolvibili. Di tali grandi interrogativi Matera, per ora, non sembra farsi carico. La città, in questa sua lunga Primavera, appare febbrile come non mai. I Sassi? Un cantiere a cielo aperto. Dovunque convegni, iniziative, dibattiti. Qua una Festa del cinema: grandi film a prezzi ridotti. Là una troupe di giovani cineasti impegnata a girare. Fiumane di turisti – inglesi, francesi, tedeschi – sciamano tra le sue pietrose viuzze ritrovandovi, forse, il senso di un’identità che sembrava irrimediabilmente perduta. Perché questa è la reale forza di Matera: donare ai suoi visitatori, da qualunque parte vengano, la coscienza del passato della città e, insieme, del loro stesso passato. La vocazione davvero cosmopolita della città è nella sua capacità di parlare allo stesso modo al turista europeo o giapponese. Eccola la lezione profonda che giunge dai Sassi, il messaggio che Matera consegna a un’Europa che l’unità l’ha proclamata soltanto a parole; e in cui, anzi, alle crescenti tensioni nazionalistiche, e perfino regionali, si mescola il risentimento di popoli che vedono tragicamente compromesso il proprio futuro. Ma torniamo alla domanda iniziale. E’ possibile, in mezzo a questi venti di crisi, che Matera, anziché limitarsi ad essere un simbolo, possa indicare una via di sviluppo per tutto il Mezzogiorno? Le parole, e il fallimento bassoliniano sta lì a dimostrarlo, non servono. La risposta è tutta nel protagonismo che, in questa primavera materana, sembra caratterizzare la città a discapito di una storia ultramillenaria fatta in gran parte di miseria e violenza subite. Quale che sia il destino dell’Europa, infatti, una cosa è certa: il Mezzogiorno potrà risollevarsi, e riconquistare il ruolo che gli spetta  nel contesto internazionale, soltanto se saprà riprendere in mano il proprio destino; e se saprà rinunciare a un abito mentale che per tanti, troppi anni, ne ha fatto un soggetto rinunciatario e puramente rivendicativo del Paese. Non è vero che la congiuntura storica è sfavorevole. O meglio: non conta che lo sia. Se i popoli europei non possono più permettersi di delegare alle elites il proprio destino, ciò è tanto più vero per il nostro Mezzogiorno. Chiusi in un discorso che non riesce ad andare al di là dei confini europei, si finisce scioccamente per credere che i mali di Bruxelles siano i mali del mondo. Ma non è così. Mentre l’Europa langue nella sua armatura economica, in attesa di una strategia politica, altre parti del globo crescono e si va ridefinendo il quadro geopolitico internazionale. E chissà che non sia qui, nel Mediterraneo, il segreto, e forse la soluzione, della crisi in cui ci dibattiamo; in questo mare su cui si affaccia un gigante, Madre Africa; e nel quale simuovono masse di capitali cinesi, arabi e russi. Chissà, insomma, che questa voglia di protagonismo con cui si è svegliata Matera non finisca per contagiare tutto il Sud. E che un’altra storia possa davvero cominciare.

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