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«MA come fanno a dire che non sono preoccupati, come fanno Bonanni e Angelletti a ripetere che è solo sciocco allarmismo?». Lo dicano a loro, quelli della Ciccolella di Melfi che le lettere di licenziamento le hanno ricevute già. «Lo dicano a me, a miei colleghi – dice dal palco Antonio – Ve lo raccontiamo noi che cosa vuol dire la paura». E’ di lavoro che si parla, è di quell’articolo 8 della manovra del governo che permette di «derogare ai contratti nazionali, di gettare la storia delle battaglie per i diritti sul lavoro e facilita i licenziamenti».
A Potenza il corteo della Cgil, in contemporanea con altre 99 piazza italiane, lo hanno aperto proprio i lavoratori dell’azienda del settore florovivaistico, una sorta di caso simbolo, nella giornata di sciopero generale della Cgil contro la «manovra del governo che divide», come farà notare il segretario generale della Cgil di Potenza, Nicola Allegretti. E’ di lavoro che si parla, visto che quella norma, come la creazione dei reparti speciali per disabili (un «vero confino»), nulla hanno a che vedere «con il recupero del debito nazionale, dei saldi finanziari del Paese. E poi, certi temi, vanno affrontati in altre sedi». Avrebbero voluto con il sindacato unito.
L’attacco ai segretari delle altre sigle della storica triplice si ripete più volte, in diversi interventi, nei capannelli d’attesa e della marcia che da borgo San Rocco, tra bandiere e canzoni rosse, ha raggiunto, ieri mattina, piazza Matteotti. «Cisl e Uil – fa notare duro il segretario della Cgil di Basilicata, Antonio Pepe – creino un altro sindacato, ma lascino stare quello confederale». Eppure, nel “no” alla manovra, a questa manovra, non sembrano esserci sono i volti e le bandiere di via Bertazzoni.
Erano in 1.400, secondo la Questura, a sfilare per le vie del centro storico di Potenza, fino al palco su cui si sono alternati lavoratori, dirigenti della Cgil, studenti della Rete. Storie di lavoro e storie di crisi che si sono raccontate, consegnando una sorta di vademecum comune per la sopravvivenza: l’unica via «è un’altra manovra, diversa, che punti ad altro».
Chiedono scelte che alla crisi possano rispondere «con politiche per la crescita – aggiunge Allegretti – Possibile che debbano sempre pagare gli stessi cittadini?». La Cgil, dice, pure qualche proposta costruttiva l’aveva fatta. Ma non è rimasto nulla della tassazione sulle rendite finanziarie, della lotta spinta (e reale) all’evasione.
Nella folla di operai e cassintegrati, disoccupati e insegnanti, o impiegati del pubblico, pensionati e precari (centinaia, praticamente una costante), c’erano alcuni dirigenti della politica locale. Con il segretario del Pd di Basilicata, Roberto Speranza, diversi amministratori dell’Idv (impegnata a raccogliere lì accanto le firme sull’abolizione delle Province e per la modifica della legge elettorale), della Sel (dal segretario Petrone all’assessore provinciale Pesacane). Decine i sindaci e i consiglieri comunali dei piccoli centri lucani: pure su di loro pesa la scure di questa manovra.
Ed è un peccato, farà notare il sindaco di Potenza, Vito Santarsiero, che non rinuncerà a salire sul palchetto Cgil per ricordare che «quando l’Italia ha investito sui Comuni, aprendo a un vero decentramento, il Paese è cresciuto e il Mezzogiorno si è sviluppato con velocità maggiore del Nord». Penalizzando i Comuni, in fondo, «si distruggono i territori». Facile pensare all’inasprimento del patto di stabilità: il Comune di Potenza ha 11 milioni fermi in banca, destinati alle imprese e ai fornitori, ma che non possono essere erogati. «A pagare sono le piccole imprese, i lavoratori, i cittadini».
In tanti cercano «un progetto reale d’alternativa. Mentre questo governo – continua Pepe – si mantiene a galla sui sacrifici dei più deboli». Al presidente della Regione, Vito De Filippo (che la sera prima aveva manifestato la solidarietà in vista della mobilitazione) lancia un appello «al rispetto delle alleanze». Sindacali e politiche. Alleanze sui temi che sono cari al centrosinistra e che stanno a cuore ai cittadini. Welfare, sanità, occupazione, trasparenza. Ciò che invece adesso sembra rendere il Paese «sempre più diviso».

Sara Lorusso

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