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Roma, 8 ott. – Aveva abusato della moglie “con frequenza quasi quotidiana” per circa tre anni, arrivando persino a costringerla a subire un rapporto sessuale il giorno stesso del ricovero della donna in ospedale per partorire. Per questo un 42enne è stato condannato in via definitiva a 6 anni e mezzo di reclusione. La terza sezione penale della Cassazione ha infatti rigettato il ricorso dell’imputato contro la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dalla Corte d’appello di Catanzaro. (AGI)
(AGI) – Roma, 8 ott. – “La pluralità degli abusi sessuali compiuti anche durante la gravidanza ed in prossimità del parto in un incalzante contesto di sopraffazione e di pieno annullamento della libertà di autodeterminazione della vittima che doveva soggiacere alle morbosità dell’uomo – si legge nella sentenza depositata oggi – ostano alla ravvisabilità del fatto di minore gravità”. Quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, lamentato nel ricorso dall’imputato, la Cassazione ha evidenziato la “corretta valorizzazione della protrazione nel tempo degli abusi, della pervicacia peculiare dimostrata e dell’assenza di freni inibitori nelle violente aggressioni perpetrate anche in presenza della figlia di pochi mesi”. 

DOVRA’ scontare 6 anni e mezzo di reclusione Antonio C., un uomo di 42 anni della provincia di Vibo Valentia. Secondo l’accusa, che ora è stata confermata dalla Cassazione, per tre anni aveva obbligato la moglie a continui amplessi, più volte al giorno. Persino la mattina del ricovero della donna in ospedale, in attesa del parto con taglio cesareo, l’uomo aveva preteso da lei un “rapporto sessuale completo”. 

In terzo gradi di giudizio è stato negato lo “sconto” di pena richiesto dai legali dell’uomo:  la sentenza 41486 della Terza sezione penale ha respinto la richiesta di concessione delle attenuanti generiche avanzate dal marito violentatore che voleva far valere il suo stato di incensuratezza per ottenere una riduzione. Senza successo, inoltre, Antonio C. ha anche provato a sostenere che c’erano stati anche rapporti consenzienti. 

Ma per i supremi giudici la condanna inflitta ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto con riferimento “a tutte le modalità” ostative alla “ravvisabilità” dell’attenuante del fatto di “minore gravità”. Rileva la Cassazione che – in questa vicenda avvenuta in Calabria – un’ipotesi del genere non è assolutamente configurabile in quanto la “condotta criminosa” è stata caratterizzata da una “pluralità di abusi sessuali, compiuti anche durante la gravidanza e in prossimità del parto, in un incalzante contesto di sopraffazione e di pieno annullamento della libertà di autodeterminazione della vittima, che doveva soggiacere alle morbosità dell’uomo”. 

Le violenze da parte dell’uomo si sono protratte dal dicembre del 2004 al giugno del 2007, quando la moglie ha trovato il coraggio di denunciarlo, chiederne l’allontanamento dalla casa e intraprendere l’iter della separazione. Anche in primo grado il Tribunale di Vibo Valentia aveva condannato l’imputato alle stessa pena poi confermata dalla Corte di Appello di Catanzaro il 21 gennaio 2013, e adesso dalla Suprema Corte.

 

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