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Maria Concetta Cacciola

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PALMI (RC) – Maria Concetta Cacciola non avrebbe ingerito da sola l’acido muriatico che l’ha uccisa il 20 agosto del 2011. L’inquietante e triste ipotesi che i giudici della Corte d’Assise di Palmi avevano brevemente anticipato il 13 luglio scorso, quando fu letta la sentenza di condanna per maltrattamenti inflitta al padre Michele Cacciola, alla madre Anna Rosalba Lazzaro e al fratello Giuseppe, è stata dettagliatamente illustrata nelle motivazioni depositate ieri presso la cancelleria del Tribunale di Palmi. Più di duecentosessanta pagine in cui il presidente della Corte, Silvia Capone, ha ipotizzato uno scenario che cambia radicalmente la vicenda relativa alla morte della testimone di giustizia di Rosarno. 

In particolare, a portare i giudici a riqualificare da suicidio a omicidio la morte di Maria Concetta sono state le presunte incompatibilità tra gli elementi investigativi e la relazione medico legale redatta dal consulente della Procura, Antonino Trunfio. Il tecnico fu incaricato a redigere una consulenza sulle cause della morte di Maria Concetta che per i giudici appare inconciliabile «tra quanto in essa attestato e i dati oggettivi risultanti dal materiale fotografico raccolto oltre che dalle testimonianze di alcuni dei soggetti chiamati a deporre» «Trunfio – si legge nelle motivazioni – ha individuato la causa di morte in un’insufficienza cardiorespiratoria secondaria a gravi lesioni degli organi interni, a loro volta determinate dall’ingestione di una sostanza caustica, in particolare di acido muriatico; riferiva a tal proposito che le lesioni necrotiche ed escoriative presenti sul volto della giovane e le lesioni necrotiche osservate nelle vie digerenti (esofago e, soprattutto, stomaco e pancreas) erano del tutto compatibili con gli effetti di tale sostanza venefica. Concludeva inoltre univocamente nel senso che l’evento-morte fosse dovuto a un atto suicidario». 

Secondo i giudici, però, «la ricostruzione operata dal Trunfio non convince, affatto». Il primo dubbio riguarda una lesione escoriativa sul polso destro della donna «del tutto simile alla traccia di un’unghia conficcata nel polso della vittima». Tali sottili escoriazioni apparirebbero «più compatibili con un afferramento volto all’immobilizzazione e alla coartazione piuttosto che al soccorso». Il corpo della Cacciola presentava, inoltre, «due ulteriori lesioni nelle regioni scapolari destra e sinistra» che secondo il consulente sarebbero state provocate «da un’azione di sfregamento del corpo sul suolo». Maria Concetta sarebbe dunque stata presa dai polsi e trascinata sulla schiena dall’appartamento sino all’auto con cui è stata portata al Pronto Soccorso di Polistena. «Si ritiene assai singolare – si legge nelle motivazioni – che gli stretti parenti della vittima trovando la ragazza a terra, priva di sensi e in condizioni palesemente critiche, non abbiano trovato per aiutarla soluzione migliore di quella consistente nell’afferrarle con violenza per i polsi e trascinarla sul pavimento come un sacco, sollevandola da terra così poco da cagionarle addirittura lesioni alle scapole». 

Per i giudici «appare molto più verosimile, e compatibile con la presenza delle molteplici lesioni escoriative presenti sulle varie parti del corpo della vittima, che la stessa sia stata aggredita, afferrata con violenza per i polsi al fine di bloccarle le braccia e, probabilmente, spinta contro un muro per impedirle ogni via di fuga», mentre alcuni segni sul collo sarebbero «ascrivibili al tentativo di tenerle ferma la testa per farla deglutire». Riguardo alle abrasioni sul volto della donna, ritenute dal consulente come un effetto del conato di vomito, i giudici sono lapidari: «Appare quasi superfluo osservare come il vomito sia soggetto alla forza di gravità per cui, in un soggetto che è in piedi, dovrebbe necessariamente cadere verso il basso coinvolgendo la bocca, il mento, ma anche gli indumenti, che sono invece stati rinvenuti in perfette condizioni». Piuttosto «le lesioni in argomento appaiano invece fortemente indicative della fuoriuscita di sostanza abrasiva dalla bocca di un soggetto che cercava di fare resistenza ad un’ingestione forzata, probabilmente tenendo le labbra serrate o anche sputando fuori l’acido». In sostanza, per i giudici Trunfio si sarebbe limitato a prendere in ipotesi solo il suicidio, scartando spiegazioni alternative.

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