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REGGIO CALABRIA – «La ‘Ndrangheta, storicamente nata e sviluppatasi in varie parti della provincia di Reggio Calabria ha assunto via via nel tempo ed in un contesto di trasformazione ancora non concluso, una strutturazione unitaria, tendente a superare il tradizionale frazionamento ed isolamento tra le varie ‘ndrine». È quanto scrive il gup di Reggio Calabria Giuseppe Minutoli nelle 860 pagine di motivazioni della sentenza del processo Crimine, depositate nel pomeriggio di ieri, che nel marzo scorso ha portato alla condanna a pene variabili dai 14 anni ed otto mesi di 94 tra boss e gregari. Una sentenza che ha confermato l’assunto della Dda di Reggio Calabria sull’unitarietà della struttura ‘ndranghetista. Ed infatti il gup aggiunge: «l’obiettivo che la Dda si era proposto di raggiungere e che, secondo questo giudice, è stato provato, era quello di delineare la struttura dell’ organizzazione nel suo complesso, di individuare gli organi che la compongono e le ‘normè che regolano i rapporti al suo interno. Ed è questo, indubbiamente, l’elemento di dirompente novità apportato dalla presente attività di indagine». «La ‘ndrangheta – prosegue – non può più essere vista in maniera parcellizzata come un insieme di cosche locali, di fatto scoordinate, i cui vertici si riuniscono saltuariamente (pur se a volte periodicamente), ma come un ‘arcipelagò che ha una sua organizzazione coordinata ed organi di vertice dotati di una certa stabilità e di specifiche regole. L’unitarietà, a differenza di quanto è stato giudizialmente accertato per la mafia siciliana fa pienamente salva la persistente autonomia criminale delle diverse strutture territoriali. Tuttavia (ed è questa la novità del presente processo), l’azione dell’ organismo di vertice denominato Crimine o Provincia, la cui esistenza è stata inoppugnabilmente accertata, seppur non sembra intervenire direttamente nella concreta attività criminale gestita in autonomia dai singoli locali di ‘ndrangheta, svolge indiscutibilmente un ruolo incisivo sul piano organizzativo, innanzitutto attraverso la tutela delle regole basilari dell’organizzazione (una sorta di ‘Costituzionè criminale), quelle, in definitiva, che caratterizzano la ‘ndrangheta in quanto tale e ne garantiscono la riconoscibilità nel tempo e nello spazio, anche lontano dalla madrepatria Calabria». 

«La sentenza del gup di Reggio Calabria è una sentenza di grande importanza per i principi che afferma con motivazioni ricche di argomentazioni. Il giudice, sulla scia di altre sentenze già pronunciate da giudici di Reggio e di Milano, afferma il principio dell’ esistenza della ‘ndrangheta come organizzazione unitaria, fortemente strutturata, dotata di proprie regole gerarchiche, organizzata con un organo di vertice che la governa». È questo il commento del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Michele Prestipino, alle motivazioni della sentenza del processo Crimine. «Il giudice – ha aggiunto Prestipino – riconosce anche l’esistenza delle molteplici proiezioni che la ‘ndrangheta vanta fuori dal territorio calabrese e argomenta sui rapporti funzionali tra tali proiezioni e la casa madre, da sempre attestata a Reggio Calabria e nella sua provincia. È un passo importante verso il riconoscimento di un principio che in questi anni è stato alla base dell’azione di contrasto alla ‘ndrangheta e che costituirà il principio guida per le future iniziative investigative e processuali».

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