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POTENZA – «Non ti nascondo che qualche foto l’ho anche rubata in giro. Per altre ho avuto un colpo di fortuna, molte appartenevano alla famiglia di mia moglie». E’ un archivio straordinario quello di Vincenzo Perretti. Ora catalogate anche in cartelline nel computer del suo studio, ci sono migliaia di fotografie. E non sono foto qualsiasi. Tra quelle immagini puoi riconoscere il Ponte di Montereale appena realizzato, la Caserma Lucania semi distrutta dopo il bombardamento del settembre 1943, l’interno del Covo degli arditi.

Ci sono volti – e storie – di una Potenza che ormai nessuno ricorda. C’è il banditore e la sua prima moglie, «ma è la seconda moglie quella davvero intelligente, una fotografa bravissima che in giro per paesi fotografava battesimi, matrimoni».

E Vincenzo Perretti, raccontando, ti trasporta con entusiasmo in quel mondo passato. E’ uno storico preciso e puntiglioso. Potenza, la sua città, la conosce in ogni suo particolare, ricorda ogni data, ogni dettaglio. E i numerosi libri pubblicati negli ultimi 20 anni ne sono una testimonianza. «Io sono abituato a verificare con precisione tutto quello che scrivo». E così, nei suoi libri, ha ricostruito la storia di questi città, in ogni suo aspetto.

«Quando avevo 18 anni – racconta – non avevo mica voglia di studiare. Pensavo al pallone. Ho fatto il Liceo studiando il minimo e indispensabile, poi all’Università». Ma anche lì voglia di studiare ce n’era poca, così dopo un po’ il padre lo richiama perchè inizi a lavorare nell’azienda di famiglia. «E per trent’anni – dice – ho lavorato solo qui in azienda». Poi però la scoperta di uno straordinario patrimonio familiare: «mia moglie è pronipote di Giustino Fortunato, la nonna di mia moglie era la sorella dello statista. E mio suocero, Gioacchino Viggiani, che è stato anche podestà di Potenza, era un uomo molto colto che in casa aveva diverse migliaia di volumi. Alla sua morte io chiesi di poter tenere i volumi che riguardavano la storia di Potenza e fu così che entrai in possesso di pezzi unici e straordinari. Così mi si accese la passione, quei libri erano come calamite. E così io, che non avevo voluto studiare a 18 anni, ho iniziato a farlo a 50».

La scoperta della storia cittadina è anche la scoperta del suo principale storico, Tommaso Pedìo. «Ricordo che un giorno gli telefonai timidamente, chiedendo se potevo andarlo a trovare per una chiacchierata. “Ma tu – mi interruppe – sei il figlio di don Antonio? E certo che puoi venire, quando vuoi”. E fu così che dal 1990 fino al 2000, quando è morto, io sono stato suo discepolo». Un’amicizia cementata da quella passione per la storia della propria città. «Lui mi riceveva a casa e stavamo nella sua cucina, piena di libri, erano da tutte le parti. E poi fogli su fogli, delle montagne. Ma se cercava un documento sapeva sempre bene dove trovarlo. Ma io non potevo toccare nulla, neppure la caffettiera. E quando alle 10 si fermava per il caffè non potevo farlo io. “Ma volevo solo lavarla”, gli dicevo. “Lavarla? – rispondeva – magari a Natale, ma che, vuoi togliere tutto l’aroma del caffè?».

Lo storico e l’uomo. Ma soprattutto l’amico che verrà ricordato – ma questo non l’anticipiamo – nel prossimo libro di Vincenzo Perretti, che a breve sarà pubblicato. Perchè la passione è passione e non si spegne mai e di cose questa città ne ha ancora tante da raccontare.

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